Il plasma iperimmune dal marzo dell’anno scorso, circa due mesi dopo che l’epidemia dilagasse, è stato presentato dai ricercatori di Pavia e Mantova come una terapia emergenziale, una specie di proiettile da utilizzare subito nella guerra contro il Covid-19. Un “arsenale” che ci avrebbe permesso di arginare le vittime e prendere tempo mentre procedeva la ricerca di un vaccino.
Dopo la sperimentazione di Pavia e Mantova, non ritenuta sufficiente per ufficializzare la terapia, in Italia è stato avviato Tsunami, lo studio volto a cercare evidenze scientifiche sull’efficacia di questo tipo di cura al Covid-19.
Nel nostro Paese, a quindici mesi dall’inizio dell’epidemia, il virus continua a mietere un numero importante di vittime e la cura con il plasma iperimmune è rimasta in sospeso per molte settimane in attesa delle valutazioni ufficiali di Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, che in base ai dati di Tsunami ha valutato gli effetti del plasma iperimmune non più efficaci rispetto alle altre terapie.
Che cosa indicasse esattamente il protocollo e perché l’Aifa l’abbia bocciato il plasma come terapia standardizzata ce lo spiegano gli stessi ricercatori: Francesco Menichetti, il principal investigator della sperimentazione nazionale Tsunami, e il dottor Massimo Franchini, responsabile del Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale dell’Ospedale Carlo Poma di Mantova, partecipe della prima sperimentazione della cura avvenuta un anno fa.
Menichetti: “Il plasma può essere utile entro tre giorni dall’inizio dell’infezione”
“Con la sperimentazione Tsunami sono emersi i benefici dell’infusione di plasma iperimmune nei pazienti con casi di polmonite di Covid-19 molto precoce” spiega il dottor Francesco Menichetti, dopo un anno di lavoro volto ad individuare le caratteristiche della terapia.
Perciò nonostante “lo studio secondo Aifa si sia dimostrato negativo – in quanto non è riuscito a dimostrare il beneficio del plasma convalescente nell’impedire il peggioramento respiratorio o la morte entro trenta giorni nei pazienti con Covid-19 moderato e severo – la raccolta plasma dei guariti continua dato che il plasma può essere utile se utilizzato entro i tre giorni dall’infezione”. La tempistica sembrerebbe il fattore vincolante per l’efficacia della cura nella cura del paziente.
Menichetti commenta l’esito del percorso, a suo dire positivo. “Tsunami è stato comunque un successo perché siamo riusciti a condurre una ricerca italiana in periodo pandemico creando una rete di 27 centri trasfusionali e arruolando quasi 500 pazienti”, e inoltre perché “la sperimentazione ha ottenuto il risultato di produrre evidenze scientifiche di qualità. Questo è motivo di soddisfazione”.
Alla domanda se in futuro riuscirà il sistema sanitario italiano a sfruttare questa terapia così controversa nella cura dei pazienti, il medico risponde: “Attendiamo un comunicato del Centro nazionale sangue, il quale dovrebbe dare precise indicazioni sulle linee guida per l’utilizzo del plasma iperimmune perché sia efficace.
Il prodotto, che è nobile e impegnativo (perché è emerso che la raccolta e la qualificazione sono lunghe e impegnative) deve essere utilizzato con alcune regole volte a massimizzare il beneficio per i pazienti, non con un uso selvaggio e sregolato”.
Menichetti specifica infine: “Inoltre poiché il plasma non è un farmaco, ma un emocomponente, è il Cns ad avere il compito di dare indicazioni, non è l’Aifa a doversene occupare”.
A un anno dall’inizio delle sperimentazioni, cosa dicono i dati di Tsunami
Il dottor Massimo Franchini, responsabile del Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale dell’Ospedale Carlo Poma di Mantova, già da oltre un anno raccoglie plasma iperimmune anti-Covid-19 che servirà per la cura dei pazienti. Questo perché un anno fa ha partecipato al primo gruppo di ricerca sul plasma iperimmune come cura contro il Covid-19, gruppo guidato dal dottor Cesare Perotti, dirigente del reparto trasfusionale dell’ospedale San Matteo di Pavia. Nel protocollo di Pavia e Mantova, già un anno fa i risultati sull’efficacia della terapia con il siero dei guariti sembravano lampanti. E ora? Perché Aifa ha bocciato il protocollo?
Franchini spiega: “Lo studio Tsunami è stato concepito nel maggio dell’anno scorso. Il protocollo quando è stato avviato era corretto, ma già dopo l’avvio ci si è resi conto che le indicazioni secondo le quali veniva somministrata la terapia non erano quelle specifiche per dimostrare inequivocabilmente i benefici della terapia sul paziente” infatti “già a metà dell’anno scorso si è iniziato a capire che per essere efficace il plasma iperimmune deve essere utilizzato solo quando si presentano tre specifiche condizioni”.
Quali? “Sappiamo che il plasma infuso deve avere un alto titolo anticorpale, che deve essere somministrato precocemente al paziente, cioè nella fase iniziale dell’infezione da Covid-19, a 36-48 ore dall’infezione, e che deve essere infuso alle categorie di pazienti non in grado di produrre anticorpi”.
Come è possibile sapere quali sono? “Sono gli immunodepressi, le donne in gravidanza, gli anziani” e aggiunge: “Prima di trasfonderlo si controlla che il paziente nel sangue non abbia gli anticorpi” e continua “Lo studio Tsunami non offre nuovi dati perché oggi sappiamo quasi tutto sull’utilizzo di questa terapia grazie ai numerosi studi che in un anno sono stati pubblicati in tutto il mondo”.
Franchini racconta l’esperienza epidemica lombarda, dove il plasma iperimmune continua ad essere la prima arma contro il Covid-19 anche nella terza ondata: “A Mantova abbiamo arruolato oltre 500 pazienti che sono stati curati con il plasma iperimmune, i medici dicono che funziona e abbiamo difficoltà a reperirne quantità sufficienti, a procurarne anche per gli ospedali. Abbiamo chiesto ad Avis di raddoppiare i punti di raccolta”.