In attesa dei risultati delle sperimentazioni già attive, la terapia che utilizza il plasma iperimmune è stata una soluzione d’emergenza per diversi pazienti, nella speranza che nel futuro prossimo si possa contare sul vaccino come soluzione a lungo termine. Una delle domande salienti dei dibattiti di questi giorni, divenuti virali, è quella che riguarda l’approvvigionamento del plasma con gli anticorpi: dove troveremo i donatori necessari a curare tutti i malati? La risposta per ora è nel mondo delle associazioni di donatori di sangue, che in questa situazione potranno ribadire ancora una volta quanto è essenziale il loro impegno per la comunità.
Ieri sera, per esempio, è stato autorizzato il progetto dell’ospedale di Lodi che valuta la presenza di anticorpi anti-Sars-CoV2 nei donatori di sangue asintomatici. Il plasma iperimmune raccolto dai donatori di sangue sul territorio delle zone intorno Lodi verrà utilizzato per la terapia a cui sono sottoposti alcuni pazienti affetti da Coronavirus.
Lo studio è condotto da Fausto Baldanti, responsabile del laboratorio di virologia molecolare del policlinico San Matteo di Pavia, e da Giuseppe Cambiè, responsabile del servizio trasfusionale dell’Azienda socio sanitaria territoriale di Lodi. Il 26 marzo è stata presentata la prima versione del protocollo al Comitato Etico dell’ospedale Sacco di Milano e poi ritirato. In seguito è stato presentato al Comitato etico del San Matteo di Pavia, e dopo l’approvazione del 9 aprile, come prevede l’iter regolare, il 14 aprile è stato consegnato nuovamente al Comitato Etico del Sacco di Milano, che ha risposto ieri.
Nel frattempo l’Avis si è mossa per trovare i donatori di sangue disponibili alla verifica. Come raccontato nell’articolo dello scorso 27 aprile sull’apertura dell’Avis Casalpusterlengo, molti donatori, circa la metà di quelli contattati, hanno dato la disponibilità per la donazione.
Se consideriamo che secondo i dati diffusi dai medici responsabili del protocollo di Pavia e Mantova una sacca di plasma ricca di anticorpi potrebbe guarire due persone, è tempo di fare i calcoli: tra i donatori di sangue e plasma troveremmo un bacino di centinaia di migliaia di possibili dosi di cura per i malati di coronavirus.
Lo studio guidato dai due specialisti e autorizzato dal comitato etico del Sacco di Milano si intitola “Analisi della prevalenza di anticorpi anti-Sars-CoV2 nei donatori di sangue della zona rossa di Lodi e selezione dei donatori con alti titoli e infusione di plasma iperimmune”.
E’ uno studio gemello ma autonomo rispetto a quello condotto dall’ospedale San Matteo di Pavia, e verrà valutato in dettaglio, con questo studio, qual è la minima dose di anticorpi presente nel plasma necessaria per guarire un malato di coronavirus.
Ecco le parole del responsabile del progetto Giuseppe Cambiè per Donatorih24.it: “Per ora abbiamo effettuato numerosi test sui soggetti asintomatici della zona rossa e abbiamo riscontrato che hanno dimostrato di avere una risposta anticorpale importante. Hanno cioè anticorpi a sufficienza. Questo non era per nulla scontato”.
Adesso, con l’avvio del protocollo, ecco cosa accadrà: “Selezioneremo un gruppo di pazienti composto da 40 individui a cui infonderemo il plasma iperimmune. Affiancheremo un gruppo di pazienti che riceveranno la cura a base di idrossiclorochina, azitromicina, eparina ed ossigenoterapia. Confronteremo i due gruppi e vedremo se la terapia con il plasma iperimmune darà risultati migliori”. Riguardo all’attiva partecipazione delle associazioni, Cambiè racconta: “Lo studio si è avvalso della forza associativa dei donatori di sangue della zona rossa soprattutto nell’area vicino Lodi e Codogno.
Le sezioni Avis di paesi come ad esempio Castiglione D’Adda e Casalpusterlengo hanno contattato telefonicamente i donatori uno ad uno. Chi ha accettato di essere sottoposto al test per valutare la presenza di anticorpi anti-Sars-CoV2, poi è stato invitato alla donazione di plasma iperimmune all’Avis di Lodi e in altri punti di raccolta”. Il protocollo, come ogni idea brillante, nasce da un lavoro di squadra: “L’idea è partita con l’Avis locale e poi è stata coinvolta l’Avis regionale.
La direzione dell’Azienda socio-sanitaria di Lodi e l’unità di crisi hanno sostenuto fin dal primo momento il progetto, quindi ringrazio tutti coloro che hanno collaborato. Tra cui i miei colleghi, il responsabile Fausto Baldanti, perno della situazione e il personale del trasfusionale di Lodi. Ringrazio inoltre il personale del CLV di Pavia”.