Il dottor Francesco Fiorin, primario del Dipartimento Trasfusionale della Provincia di Vicenza e direttore UOC Medicina Trasfusionale dell’Ulss 8 Berica, è diventato il nuovo presidente del Simti (Società Italiana di Medicina Trasfusionale e Immunoematologia), da pochi giorni, in sostituzione di Pierluigi Berti. La sua nomina arriva in un momento di transizione per il settore, in virtù di criticità che devono essere prontamente affrontate, come la carenza di specialisti. Per conoscere i progetti, i programmi per affrontare tali criticità e la visione sul presente di un ramo decisivo del sistema trasfusionale italiano, lo abbiamo intervistato. Ecco le sue parole in esclusiva per Donatorih24.
Dottor Fiorin, congratulazioni e “in bocca al lupo” per questo nuovo e importante ruolo che arriva in un momento delicato. Ci racconta le sue sensazioni e le aspettative che nutre verso sé stesso e questo biennio che lo aspetta alla guida di SIMTI?
Grazie innanzitutto per le congratulazioni e per gli auguri. Devo dire che la prima sensazione che ho provato è stata di orgoglio, orgoglio di presiedere questa grande Società scientifica fondata ancora nel 1957 che ha più di sessant’anni di storia, sessant’anni a servizio della medicina trasfusionale Italiana, dei suoi professionisti, dei pazienti e sempre in collaborazione con le associazioni di volontariato del dono del sangue e delle istituzioni. L’altra sensazione è relativa alla responsabilità che naturalmente si accompagna ad un tale incarico, responsabilità di condurre, assieme ai colleghi ed amici del consiglio direttivo, questa società attraverso le sfide che inevitabilmente ci coinvolgono e che vedono l’intera medicina trasfusionale al centro di un processo di rinnovamento e di ripensamento soprattutto della sua dimensione organizzativa. In questa avventura mi accompagneranno tutto il consiglio direttivo e i nostri delegati regionali che rappresentano SIMTI nelle realtà regionali. Mi aspetto pertanto un vero gioco di squadra che coinvolga tutte le dimensioni societarie assieme alle associazioni e federazioni di donatori di sangue e alle istituzioni, Centro nazionale sangue e ministero in primis in cui ogni componente sicuramente darà il suo apporto per quelle che sono le sue specifiche competenze e responsabilità.
Nei vari live-streaming organizzati da Donatorih24 nel 2020 è emersa spesso, con i più importanti esperti del settore, necessità di reingegnerizzare il sistema trasfusionale. Questa necessità riguarda, nello specifico, anche il mondo dei medici trasfusionali?
Se si parla di sistema trasfusionale i professionisti della medicina trasfusionale sono evidentemente una delle componenti imprescindibili. È evidente che, come più volte detto sia da Pierluigi Berti che da Vincenzo de Angelis con questo tipo di organizzazione prima o dopo il sistema sangue italiano non ce la farà più a reggere. L’attuale organizzazione ha retto, e retto direi in maniera egregia, per almeno trent’anni dopo la legge di riforma del sistema sangue del 1990. Ora, io credo che dobbiamo affrontare almeno due grossi problemi: 1- l’invecchiamento della popolazione di donatori 2- il ricambio dei professionisti della medicina trasfusionale. Questi due grossi problemi devono essere affrontati, ripeto ancora una volta in maniera sinergica, sviluppando una serie di azioni ai vari livelli di responsabilità che tendano tutte all’unico obiettivo di continuare a garantire, in modo sostenibile, la migliore terapia trasfusionale possibile ai nostri pazienti in termini di qualità, sicurezza e competenza.
Altro tema chiave che è emerso è la carenza di specialisti trasfusionisti sul territorio. Come si può affrontare questa necessità?
SIMTI negli ultimi dieci anni ha perseguito con tenacia il riconoscimento di una scuola di specializzazione specifica che riguardasse la medicina trasfusionale, purtroppo con scarso risultato. La conseguenza è che i medici che arrivano a lavorare nei servizi trasfusionali italiani hanno bisogno di formazione e allo stato attuale sono solo le Società Scientifiche del settore, in modo particolare SIMTI, che riescono a mantenere alti livelli di proposte formative rivolte ai nostri professionisti. Purtroppo la carenza di medici in Italia è un dato di fatto e riguarda tutte le specialità e quindi anche la medicina trasfusionale. Forse sarà il caso di pensare a quali altre figure professionali sanitarie poter coinvolgere nelle nostre attività tenendo ovviamente distinte quelle che sono le diverse specificità, in particolare per i medici la capacità unica di fare diagnosi e prescrivere una terapia. Ma ripeto, è del tutto evidente che questo problema va affrontato in maniera responsabile da parte di tutti, delle istituzioni in maniera particolare, senza dimenticare che i processi trasfusionali tagliano in maniera trasversale tutte le attività sanitarie che ogni giorno si svolgono in ospedale e che anche il migliore chirurgo farà fatica ad operare senza emocomponenti a disposizione.
La pandemia da Covid-19 che problemi ha creato alla vostra categoria?
La pandemia di Covid-19 ha messo le strutture trasfusionali nella condizione, prima di tutto, di dover garantire un ambiente sicuro sia ai donatori che ai pazienti senza dimenticare tutti gli operatori. Ricordiamo che le strutture trasfusionali sono state le prime a mettere in piedi un sistema di triage e di controllo degli accessi per donatori e pazienti. La seconda criticità è stata quella dell’approvvigionamento di emocomponenti, non tanto perché vi sia stata una vera carenza, quanto perché la programmazione della raccolta variava, e varia, rapidamente in base alle necessità cliniche, soprattutto nei periodi in cui l’attività clinica programmata soprattutto chirurgica, è stata sospesa. Devo dire che le associazioni hanno dato una grossa mano, almeno nella mia Regione, modulando il sistema di prenotazione delle donazioni sulla base delle necessità che gli erano poste. E poi c’è stata tutto il tema della raccolta e dell’utilizzo del plasma da pazienti guariti da Covid-19 , partita in cui le strutture trasfusionali sono state molto impegnate e continuando altresì ad erogare tutti gli altri servizi in condizioni di isorisorse, un impegno enorme soprattutto dal punto di vista organizzativo, che speriamo cominci a mostrare i suoi frutti. Siamo infatti tutti in attesa che vengano pubblicati i risultati dei principali trial italiani, prima di tutti lo studio Tsunami.
Parliamo di autosufficienza ematica nazionale. Quanto è importante secondo lei, e perché? Come può migliorare la raccolta?
Che l’autosufficienza nazionale sia un valore non penso sia neanche da mettere in discussione né dal punto di vista etico che morale, a tal punto che anche il legislatore lo considera come obiettivo sovraregionale e non frazionabile. È diritto di tutti i nostri pazienti di avere a disposizione la migliore terapia trasfusionale possibile in termini qualitativi ma anche quantitativi. Prima accennavo al problema dell’invecchiamento della popolazione e quindi anche di quella dei donatori che rischi di mettere in pericolo l’autosufficienza sia in emocomponenti che in emoderivati. I donatori più “anziani”, e tra questi mi metto anch’io, sono anche quelli maggiormente fidelizzati. Dire che bisogna puntare sui giovani rischia di essere interpretata come una banalità, in realtà è una necessità. Anche qui verosimilmente bisognerà puntare su nuovi modelli di coinvolgimento che superino la realtà attuale e che portino i giovani ad avvicinarsi al mondo della donazione e del volontariato, ma soprattutto poi a rimanerci.
Dal punto di vista operativo come agirà il Simti nei prossimi due anni? In sinergia con gli altri attori di sistema? Puntando sul dialogo con le istituzioni?
Gli obiettivi principali di SIMTI restano sempre quelli indicati nel suo statuto, ovvero promuovere l’organizzazione di servizi trasfusionali efficienti e qualificati e contribuire al progresso scientifico, tecnico, organizzativo, sociale e morale della medicina trasfusionale. Continueremo pertanto a batterci per dare ai nostri soci gli strumenti più adeguati in termini di formazione e sviluppo delle competenze e ad offrire agli organi decisionali e consultivi, dello Stato e delle Regioni, nonché alle Istituzioni impegnate in campo trasfusionale, una qualificata collaborazione per la programmazione e lo sviluppo del servizio trasfusionale del Paese. Continueremo inoltre ad avere rapporti di partnership e di alleanza con le Associazioni di donatori in modo da sostenere il modello di donazione volontaria, non retribuita e soprattutto consapevole che ha caratterizzato il nostro paese in questi anni. È evidente quindi che SIMTI continuerà a collaborare con tutte le persone o istituzione per il raggiungimento dei suoi obiettivi fondanti secondo un modello fortemente collaborativo che coinvolga tutti gli attori per quelle che sono le loro specificità e competenze.
Come si può trasferire al pubblico il mondo valoriale che sta dietro il dono del sangue? È sufficiente secondo lei quello che si fa a livello di comunicazione nazionale?
Io credo che la disaffezione verso la donazione sia un segno del rapporto di valori mutato all’interno della nostra società dove la partecipazione, il fare comunità, la solidarietà non sono più valori centrali nelle nostre comunità. E questo si vede in tutti i settori a partire dalla scuola, all’impegno politico, all’associazionismo. Le campagne di comunicazione fatte a livello nazionale credo siano state ben condotte e che contribuiscano a mantenere alta l’attenzione sul “mondo sangue” e sule sue necessità. Sono convinto però che sarà necessario, anche se difficile, ricostruire un tessuto sociale in cui i valori di cui parlavo prima siano la trama dello stesso.