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Franchini: “Così possiamo battere il Coronavirus”

2020-04-14T14:21:11+02:00 14 Aprile 2020|Primo Piano|
kedrion-coronavirus di Giancarlo Liviano D'Arcangelo

Una sinergia che si è sviluppata in pochissimo tempo grazie alla volontà di tutte le parti in causa, e che potrà sprigionare in breve tempo tutto il suo potenziale terapeutico: la ricerca sulla terapia da plasma iperimmune da utilizzare per i malati da Covid-19 è partita grazie alla collaborazione tra aziende private come Kedrion Biopharma, strutture sanitarie pubbliche e associazioni di donatori. Il dottor Massimo Franchini, direttore del servizio trasfusionale dell’ospedale Carlo Poma di Mantova, ha spiegato a DonatoriH24 come sia stato possibile diventare operativi in così breve tempo e attivare un protocollo di studio che potrebbe essere decisivo.

Il dottor Franchini sarà uno degli autorevoli partecipanti alla video conferenza organizzata da DonatoriH24.it e prevista per giovedì 16 aprile alle 19, dal titolo Il dono dei guariti contro la pandemia – Plasma e anticorpi nella sfida al Coronavirus. All’incontro, moderato da Luigi Carletti, assieme a Franchini saranno presenti Gianpietro Briola (Presidente nazionale Avis), Alessandro Gringeri (Ricerca e sviluppo Kedrion), Giancarlo Maria Liumbruno (direttore Centro nazionale sangue).

Dottor Franchini, quando è nata l’idea di agire sul filone di ricerca che punta sul plasma da pazienti guariti?

Il tempo in cui il protocollo è partito è un fatto importante. Siamo partiti in modo precoce quando nessuno sapeva cosa aspettarsi da questo tipo di terapia, e se ne parlava solo in Cina. Kedrion ci ha creduto, è partita subito e il merito è del professor Gringeri, che è una persona illuminata con un grande percorso a livello mondiale come uno dei principali clinici sul fronte dell’HIV. Lui che è uno scienziato ha capito che si poteva andare in questa direzione. A volte serve la persona giusta al momento giusto.

Come nasce il protocollo di sperimentazione sul plasma iperimmune?

Il contributo di Kedrion è stato davvero fondamentale per questa collaborazione tra pubblico e privato. L’attuale normativa del Cns per la validazione del plasma di convalescenti richiede obbligatoriamente l’utilizzo di test di inattivazione virale, e Kedrion si è mossa molto bene con grande senso di partecipazione e collaborazione. Ha ceduto a varie strutture ospedaliere in comodato d’uso gratuito e senza canone apparecchiature molto costose, e in più ha offerto la formazione, mettendo a disposizione degli staff figure di specliast d’addestramento per il personale laureato e tecnico. Infine ha fornito numerosi kit per eseguire il test di virus inattivazione del plasma. Un impegno economico notevole.

Com’è stato superato il rischio di un rallentamento burocratico?

La nostra fortuna è stata la collaborazione a tutti i livelli. A volte nelle strutture pubbliche anche per attivare una donazione servono tre mesi perché bisogna controllare tutto. La cosa incredibile è con tutte le lungaggini burocratiche che spesso ci sono, noi siamo riusciti a partire subito, e in 48 ore avevamo già l’apparecchiatura operativa. Grazie all’ospedale di Pavia e al professor Gringeri è andato tutto molto velocemente, con un coinvolgimento totale che ho percepito come una dimostrazione di fiducia nei miei confronti. Il nostro è un protocollo ben studiato, che ha l’autorizzazione del comitato etico della Val Padana, che si è riunito on-line in procedura d’urgenza. Il Centro Nazionale Sangue, nella figura del dott. Liumbruno, ci ha fornito le indicazioni necessarie per la selezione dei donatori e la produzione di un plasma sicuro, di livello farmaceutico.

Nella sinergia il ruolo dei donatori sembra importantissimo.

Il problema più grande da affrontare in questa terapia è la qualità del plasma dei donatori. Noi lavoriamo tantissimo per chiamare i pazienti guariti, che tuttavia spesso non possono donare per varie ragioni, perché sono stati all’estero o perché il loro plasma non può essere effettivamente utile secondo normativa, per il basso numero di anticorpi o per la sua qualità generale. Noi non andiamo alla cieca, sappiamo esattamente quanti anticorpi iniettiamo al paziente e facciamo il test di neutralizzazione, per cui da 50 donatori di partenza si rischia di arrivare a 7-8 che effettivamente possono donare. In questo senso l’Avis ci sta aiutando tantissimo. Avere donatori periodici e mediamente più giovani è una garanzia nella garanzia. Un bacino molto importante che stiamo utilizzando e che, devo dire, ha permesso di coinvolgere tutta la comunità. Una congiuntura magica che si è venuta a creare sulla base dei risultati clinici: i nostri medici hanno valutato subito il plasma a disposizione come una cosa fantastica, una qualità che ha generato enorme entusiasmo. Siamo dentro questo meccanismo virtuoso in cui c’è una partecipazione totale, ed è davvero un fattore molto importante.