Da ormai molti anni il sistema trasfusionale italiano può contare su un alto livello di sicurezza elevatissimo, e le probabilità che vi sia una sacca infetta corrisponde a una contro svariati milioni. Si tratta di un risultato importante che si mantiene costante a tutti i livelli della filiera trasfusionale, e che investe donatori e pazienti allo stesso modo. Il merito di tale eccellenza è anche del sistema di emovigilanza adottato nel nostro paese, e per conoscerlo meglio nel dettaglio, su Donatorih24 abbiamo intervistato il dottor Giuseppe Marano, che per il Centro nazionale sangue è il referente emovigilanza e sorveglianza epidemiologica.
Dottor Marano, lei si occupa di emovigilanza per il Centro nazionale sangue: ci spiega bene il concetto di emovigilanza, e quali sono gli obiettivi del suo lavoro?
Per emovigilanza si intende l’insieme delle procedure volte alla rilevazione e al monitoraggio delle reazioni indesiderate gravi o inaspettate nei donatori e nei riceventi e degli incidenti gravi inerenti al processo trasfusionale, nonché alla sorveglianza delle malattie infettive trasmissibili con la trasfusione e alla sorveglianza dei materiali e delle apparecchiature utilizzati nel processo trasfusionale. L’obiettivo dell’emovigilanza è quello del continuo miglioramento della qualità e sicurezza degli emocomponenti e del processo trasfusionale nel suo complesso non solo mediante la precoce identificazione dei nuovi rischi ma anche attraverso l’avvio e la valutazione di misure preventive. Nel nostro Paese, la notifica degli eventi avversi correlati alla donazione e alla trasfusione nonché gli effetti indesiderati riferibili alla qualità e alla sicurezza degli emocomponenti è obbligatoria per legge.
Che tipo di norme sono in vigore?
Il nostro sistema di emovigilanza è regolato da specifiche disposizioni normative che derivano dalla trasposizione della normativa di matrice europea in materia. A livello nazionale, attraverso il monitoraggio e l’analisi delle notifiche inserite nel Sistra (acronimo di Sistema Informativo dei Servizi TRAsfusionali), il Centro nazionale sangue persegue l’obiettivo di favorire l’uniformità e la confrontabilità dei dati, rendendone di conseguenza più semplici le funzioni di aggregazione ed elaborazione, e la produzione di rapporti nazionali che rispondano con coerenza al debito informativo internazionale ed europeo.
In un paese moderno il fattore organizzativo del sistema trasfusionale è decisivo per un’alta qualità del servizio. Ci spiega, in sintesi, com’è organizzato il sistema italiano sul piano dell’emovigilanza?
Il modello organizzativo italiano per l’emovigilanza prevede diversi livelli. Un livello è quello locale, rappresentato dai Servizi Trasfusionali e poi vi sono altri due livelli che possiamo definire “di coordinamento”, ovvero il livello regionale e quello nazionale. Il monitoraggio degli eventi avversi ed il relativo flusso di dati è organizzato secondo i suddetti livelli di competenza. Il referente dell’emovigilanza del Servizio trasfusionale ha il compito di rilevare e monitorare le segnalazioni sia interne che provenienti dalle unità di raccolta e di notificarle alla Struttura regionale di coordinamento per le attività trasfusionali tramite il sistema informativo regionale o, dove esso non è presente, direttamente tramite il sistema nazionale Sistra. Il referente regionale della struttura di coordinamento ha il compito di verificare e validare le informazioni trasmesse dai servizi trasfusionali e provvedere all’inoltro al Centro Nazionale Sangue delle notifiche estratte dal sistema informativo regionale. Il referente nazionale del Cns ha il compito del monitoraggio continuo del sistema nazionale di emovigilanza attraverso la consultazione delle singole schede di notifica e attraverso l’elaborazione di dati aggregati a livello nazionale, a partire dalle notifiche trasmesse dalle Strutture Regionali di Coordinamento.
Qual è, a oggi il livello di sicurezza per i donatori italiani, e quanta strada si è fatta negli ultimi decenni in questo senso?
Sicuramente è possibile affermare che attualmente il livello di sicurezza per i donatori italiani è molto elevato e analogo a quello riportato nei Paesi di pari livello socio-economico rispetto all’Italia. Con la medesima sicurezza è possibile affermare che negli ultimi decenni si è assistito ad un graduale e costante miglioramento in questo ambito. A tale incremento del livello di sicurezza ha di certo contributo l’implementazione e la progressiva maturazione del sistema di emovigilanza, che attraverso un costante monitoraggio delle attività trasfusionali ha giocato un ruolo di primo piano nel migliorare la qualità e sicurezza degli emocomponenti e del processo trasfusionale nel suo complesso come anche ad aumentare il livello di sicurezza della donazione di sangue intero e degli emocomponenti. A riprova della maturazione cui si faceva prima riferimento e più in generale di una maggiore “cultura della segnalazione” vi è la partecipazione dei Servizi trasfusionali italiani al sistema di emovigilanza, misurata come numero di segnalazioni/anno, soprattutto nel numero delle reazioni indesiderate nei donatori a basso grado di severità, ovvero quelle reazioni che possono comparire durante o successivamente alla donazione e che si risolvono nel giro di qualche minuto senza la necessità di alcun intervento specifico da parte degli operatori sanitari. È, infatti, proprio la “cultura della segnalazione” uno dei pilastri su cui si fonda il miglioramento continuo dei processi e delle attività di medicina trasfusionale.
Quali sono i casi più frequenti di “eventi avversi” per i donatori, sia di sangue che di plasma, e come si affrontano?
In merito alle reazioni indesiderate alla donazione possiamo dire che il tipo di reazione più frequentemente segnalato è la reazione vaso-vagale (una sensazione di disagio può manifestarsi con pallore, debolezza, vertigini, sudorazione, nausea ecc. n.d.r.) di tipo immediato (più del 73% dei casi notificati) che solo in mima parte è di grado severo (meno del 4% dei casi notificati). In generale, con un trend sostanzialmente stabile nel corso dell’ultimo quinquennio, le reazioni indesiderate alla donazione maggiormente notificate sono state quelle indicate come lievi (più del 70% dei casi notificati), un 20% circa come moderate e solo un 10% sono indicate come severe. Sempre nel corso degli ultimi anni, se si confronta il numero assoluto delle notifiche delle reazioni indesiderate alla donazione, questo è più elevato in occasione delle donazioni di sangue intero rispetto a quelle in aferesi; se, invece, si normalizza il dato rapportandolo al numero di procedure di donazione eseguite, la frequenza più elevata si rileva in occasione della donazione in aferesi (5,7 rispetto a 2,3 ogni 1.000 donazioni). Mentre per la donazione di sangue intero il tipo di reazione più frequentemente segnalato è la reazione vaso-vagale di tipo immediato e ritardato, per la donazione di emocomponenti in aferesi il tipo di reazione più frequentemente segnalato sono la reazione vaso-vagale di tipo immediato e l’ematoma. Ciascun Servizio trasfusionale o Unità di Raccolta adotta delle procedure volte a minimizzare l’insorgenza di una reazione indesiderata alla donazione nonché ad attuare un’adeguata gestione nel caso in cui esse si verifichino. Al contempo, è importante sottolineare come un attento monitoraggio dei dati di emovigilanza consenta a ciascun Servizio trasfusionale o Unità di Raccolta di attuare una più accurata sorveglianza del processo di donazione e di selezione del donatore per individuare eventuali criticità ed implementare le opportune azioni di miglioramento.
La pandemia ha complicato il vostro lavoro? Sotto quali aspetti?
Possiamo sicuramente affermare che la situazione legata alla pandemia da COVID-19 ha avuto un enorme impatto nella vita di tutti; naturalmente la sfera lavorativa non è rimasta indenne. Come tutti i colleghi che operano nei Servizi trasfusionali e nelle Unità di Raccolta hanno sperimentato, la pandemia ha determinato un aumento del carico di lavoro individuale e di equipe andando spesso ad assorbire più del 50% delle nostre attività quotidiane. Se ci riferiamo specificatamente alle attività di emovigilanza, oltre allo svolgimento delle attività routinarie, abbiamo dovuto corrispondere alla necessità di attuare nuove strategie di monitoraggio delle attività trasfusionali, ivi compresa la segnalazione degli eventi avversi, anche attraverso la creazione ex novo o l’adeguamento degli strumenti informatici per la gestione dei flussi informativi dedicati a specifici aspetti correlati alla pandemia da COVID-19.
E per quello che riguarda la raccolta e i pazienti?
Più in generale, tra le varie sfide che il sistema trasfusionale è stato chiamato ad affrontare in tempo di pandemia, vorrei ricordare quella di garantire l’accesso sicuro a decine di migliaia di persone presso i centri di raccolta e far sì che donazioni di sangue e di emocomponenti si compiano in sicurezza. A tal proposito, fondamentale risulta la partecipazione di tutti nell’osservazione scrupolosa di comportamenti da parte dei donatori e del personale sanitario volti a di prevenire la diffusione delle infezioni respiratorie, ivi compresa l’infezione da SARS-CoV-2 all’interno delle sedi di raccolta, pubbliche ed associative. Questa sinergia ha garantito nel corso dell’anno appena trascorso la continuità dell’attività sanitaria assistenziale ed in particolare il supporto trasfusionale a oltre 1.800 pazienti al giorno sul territorio nazionale. Il Sistema trasfusionale, ivi inclusi i professionisti che si occupano di Emovigilanza, sta profondendo e profonderà analoghe energie per consolidare e rendere più efficaci le azioni già messe in atto anche nel corso del 2021, anno che si spera possa vedere se non un azzeramento quanto meno una drastica riduzione dell’impatto della pandemia da COVID-19.