Un vaccino che permette, dopo otto anni di somministrazione, di ridurre del 90% il cosiddetto “serbatoio di virus latente”. È il risultato di uno studio tutto italiano effettuato con una terapia a base di Tat (una proteina particolare in grado di legare l’acido ribonucleico) per contrastare l’Hiv su pazienti in terapia antiretrovirale (cART).
I numeri del follow up sono stati pubblicati sulla rivista Frontiers in Immunology e hanno riguardato i pazienti immunizzati con il vaccino messo a punto da Barbara Ensoli, direttore del centro ricerca Aids dell’Istituto superiore di sanità. L’obiettivo è quello di arrivare all’eradicazione del virus, trovando nel frattempo opportunità preziose per ridurre la tossicità associata ai farmaci, migliorando l’aderenza alla terapia e la qualità della vita, problemi che riguardano soprattutto le fasce d’età più basse.
Tra gli otto centri clinici italiani che hanno condotto lo studio (San Raffaele di Milano, L. Sacco di Milano, San Gerardo di Monza, O.U. di Ferrara, S.M. Annunziata di Firenze, Istituto San Gallicano – Istituti Fisioterapici Ospitalieri di Roma, Policlinico di Bari), e presentato i dati del monitoraggio clinico a lungo termine di 92 volontari vaccinati del precedente studio clinico condotto dall’Iss, c’è il Policlinico di Modena.
La dottoressa Cristina Mussini, primario del dipartimento di Malattie Infettive della struttura universitaria, ha spiegato a DonatoriH24 i dettagli dello studio e, soprattutto, le prospettive future della ricerca in questo ambito.
“È una ricerca che sta dando risultati dopo un periodo di otto anni per il quale, sia medici che pazienti, hanno prodotto un impegno enorme – spiega -. Parliamo di uno studio che è comunque di fase 1, ma che permette di fare un passo avanti in questo campo”. Tuttavia non si può parlare di uno studio rivoluzionario: “Ai dati ottenuti è stato dato, per certi versi giustamente, un grande risalto, ma è solo una piccola tessera che dovrà essere inserita in un puzzle molto più ampio. In Italia è comunque un fatto eroico aver tagliato un traguardo del genere”.
Soprattutto perché, a differenza di altri Paesi, qui si combatte con budget destinati alla ricerca di molto inferiori rispetto al resto d’Europa o del mondo: “Purtroppo è così, basti pensare che negli Stati Uniti sono stati stanziati 100 miliardi di dollari per studiare da vicino questo vaccino e anche nazioni come la Francia sono molto più avanti rispetto a noi. La differenza è allarmante – sottolinea la dottoressa -. Delle 287 domande presentate, ne sono state finanziate soltanto 12, è questo il frutto delle ristrettezze economiche con cui ci troviamo a fare i conti”.
La soddisfazione di aver seguito lo studio anche a Modena, è però innegabile: “Abbiamo somministrato il vaccino, solo qui, a dodici pazienti. La Tat è fondamentale, ha permesso di ottenere aspettative di vita, per le persone malate, pari a quelle della popolazione non affetta da Hiv, con relativi benefici per le abitudini di tutti i giorni. Bisognerà continuare a testare questa terapia anche in futuro – conclude -, ma pensare di poter sospendere la terapia antiretrovirale è impossibile“.