Sì europeo ad acquisizione Takeda-Shire
Cosa significa per il sistema sangue italiano

2019-01-24T17:08:59+01:00 5 Dicembre 2018|Attualità|
di Tiziana Barrucci

La società farmaceutica giapponese Takeda incassa il sì della Commissione europea (Ce). E’ infatti di qualche giorno fa il parere positivo sull’acquisizione di Shire da parte di Takeda, per 62 miliardi di dollari (circa 54 miliardi di euro), a condizione che l’azienda giapponese ceda un farmaco di Shire, attualmente in sperimentazione per il trattamento delle malattie infiammatorie intestinali. Una condizione già accettata dalla compagnia giapponese che ha annunciato a metà novembre di voler chiudere l’acquisizione entro l’8 gennaio 2019.  Il 5 dicembre si è tenuta un’assemblea straordinaria: l’acquisizione è stata approvata da oltre il 90 per cento degli azionisti di Takeda. La farmaceutica sarà il leader mondiale nelle malattie rare.

L’approvazione della Ce segue quelle delle autorità regolatorie di Usa, Giappone, Cina e Brasile. L’accordo con Shire costituirebbe la più grande acquisizione mai effettuata da un’azienda giapponese.

I RIFLESSI PER L’ITALIA

Lo scenario fin qui delineato parla di un meccanismo arcinoto: acquisizioni e vendite di società più o meno grandi nell’era della globalizzazione e delle multinazionali sono all’ordine del giorno. Cosa ha a che fare l’acquisizione di Shire con il sistema sangue e in particolare con l’Italia? Il legame è con le gare regionali per la produzione di plasmaderivati.

Come forse alcuni sanno, il 5 dicembre 2014 il ministero della Salute individua i “centri e aziende di frazionamento e produzione di emoderivati autorizzati alla stipula delle convenzioni con le regioni”. Vengono autorizzate cinque multinazionali: Kedrion (Italia), Behring (Australia), Grifols Italia (Spagna), Octapharma Italy (Svizzera), Baxter Manifactoring, oggi Baxter-Baxalta assorbita da Shire. In sostanza Nel 2015 il “pianeta” plasma, nel suo assetto regionale, dopo l’apertura alle società farmaceutiche, si organizza in quattro aggregazioni interregionali.

E la società che ha da poco vinto il bando in Toscana è Baxalta Incorporated (spin off di Baxter). Una società acquisita nel 2016 da Shire che ha così dato vita a un nuovo colosso operante a livello globale, tanto che il Ceo, Flemming Ornskov, dichiarava: «Compiuta la combinazione con Baxalta, Shire diventa leader globale nelle malattie rare sia per fatturato che per pipeline».

L’azienda ha oltre 22mila dipendenti distribuiti in più di cento paesi nel mondo. Il frazionamento del plasma per la produzione di emoderivati in Italia viene fatto nello stabilimento di Rieti, 350 i dipendenti per immunoglobuline, albumina e fattori di coagulazione, mentre a Pisa si lavora alla produzione di albumina, successiva al frazionamento effettuato a Rieti.

L’espansione di Shire e dei relativi prodotti si prefiggeva di servire meglio i pazienti con malattie rare e altre patologie altamente specialistiche.

Ma proprio nei giorni in cui la Baxalta si aggiudicava la gara del raggruppamento Pla.Net (la sigla sta per Plasma Network, capofila la regione Toscana, le altre sono Campania, Lazio, Marche e Ispettorato generale della Sanità Militare. Si stimano 162mila kg di sangue come potenziale), la società giapponese Takeda stava valutando l’acquisizione di Shire. In modo da far nascere il nono gruppo farmaceutico mondiale in termini di fatturato. Un’acquisizione come abbiamo detto del valore di ben 54 miliardi di euro, con una transazione che include 30 dollari per azione in cash.

La Takeda così facendo stava di fatto dichiarando guerra ai big del mercato statunitense: già forte in oncologia, neurologia e settore gastrointestinale, si apriva al mercato dei prodotti per le malattie rare. Un’operazione definita dagli esperti economici del settore, “mastodontica”.

GLI “OPPOSITORI” ALL’OPERAZIONE

I fatti però, non finiscono qui.  C’è chi, all’interno della stessa Takeda, osteggia questa acquisizione perché la ritiene addirittura «un disastro». Non parliamo di uno “qualunque”, ma di Kazu Takeda, discende del fondatore. Attorno a lui una serie di piccoli azionisti rappresentanti di 130 famiglie che hanno investito nella compagnia, ma che al “no deal” sono riusciti a portare solo il 10 per cento dei voti. Un gruppo addirittura rinominato “thinking about Takeda’s bright future”.

L’AFFARE TAKEDA E I DONATORI DI SANGUE

Secondo il capofamiglia Takeda, messo in minoranza sull’accordo, l’interessamento per Shire comporterebbe non solo una perdita dal punto di vista dell’identità aziendale (il concetto di takedaismo, ossia il profitto aziendale che rende felici i dipendenti) ma anche un esborso di denaro eccessivo: per finanziare l’acquisizione della società Shire, Takeda, che ha un valore di mercato di circa 32 miliardi di dollari, si è assicurata un prestito ponte di 30,9 miliardi di dollari (circa 27 miliardi di euro).

Come potrebbe ridurre tale debito una volta acquisita la Shire? Vendendo alcune attività della Shire stessa. Secondo quanto riporta la testata giornalistica Bloomberg, Takeda starebbe già valutando infatti la cessione delle attività di Shire in oculistica. Disinvestimenti vari – di cui poco si sa ancora ufficialmente – che porterebbero Takeda a raccogliere circa 5 miliardi di dollari. D’altra parte, poco dopo aver raggiunto l’accordo per l’acquisto di Shire, il Ceo di Takeda, Christophe Weber, aveva dichiarato che la sua società avrebbe perseguito una politica di riduzione dei costi necessari per rendere l’acquisto fattibile senza compromettere l’innovazione.

Cosa significa riduzione dei costi in questo caso? Nulla vieta che Takeda possa decidere di cedere altri rami d’azienda, magari collegati al sistema sangue. Ma qui andiamo ovviamente nel campo delle supposizioni.

Cosa significherebbe quindi in futuro questa acquisizione per il plasma lavorato? Cosa vieta che la lavorazione del plasma passi da multinazionale a multinazionale? I controlli delle procedure saranno sicuramente dei più ferrei, ma si tratta di passaggi importanti che i donatori di sangue e plasma, così come i pazienti, devono conoscere.