Mi chiamo Odavia, ho 40 anni e sono figlia di testimoni di Geova. Dono sangue dal 2016, dopo che nel 2002 mi sono allontanata dalla fede. Nella nostra religione è vietato donare sangue, celebrare i compleanni e andare a votare. Sono stata cresciuta così fino a quando mia zia Maria si è ammalata. Lei seguiva alla lettera le regole imposte dal credo religioso. Lo ha fatto anche dopo essere stata ricoverata in ospedale perché le si sono aggravati i problemi di disfunzione renale. Era nel letto quando il medico le ha detto che per salvarla sarebbe stato necessaria una trasfusione, ma in stato di semincoscienza lei ha rifiutato. Il medico in seguito ha chiamato le forze dell’ordine che, nei mesi successivi, le hanno imposto una trasfusione. Quando è stata compiuta però ormai era tardi, lo stato di salute era compromesso e mia zia è morta nel maggio del 2002.
Non è stata la sua morte a farmi cambiare idea sulla nostra religione, ma quello che è avvenuto nei giorni successivi. Il giorno precedente al funerale, quando eravamo pronti per celebrare la funzione, gli altri testimoni di Geova sono arrivati a casa di mia madre per dirle che Maria, avendo ricevuto la trasfusione, era colpevole di un peccato e quindi il funerale non poteva essere celebrato con il rito religioso. Ne è nata una discussione accesa, e in un momento così delicato, la mia famiglia ha dovuto insistere perché la cerimonia venisse celebrata come voleva mia zia. Siamo riusciti, e il rito è stato quello che lei ha voluto, ma l’accaduto mi ha fatto riflettere in modo profondo sul senso della salvezza.
In particolare ho pensato molto a come la religione dei Testimoni di Geova cerchi di salvare il prossimo, proibendo le trasfusioni di sangue. Da quel giorno ho lasciato il credo e allo stesso tempo non ho smesso di voler continuare ad aiutare gli altri. L’ho fatto cominciando a donare sangue e plasma nel 2016 e sono convinta della mia decisione al punto da aver coinvolto la mia famiglia. L’ho proposto a mio marito Lorenzo e a mio figlio Davide. Doniamo tutti e tre alla Croce Azzurra di Pontassieve, vicino a Firenze. Ho spiegato loro che, facendolo, c’è tutto da guadagnare in salute e nella qualità della vita. Per me è anche una forma di riscatto. Anche se non pratico più quella fede, voglio anche io, insieme alla mia famiglia, contribuire alla società, cercando di salvare le persone malate.