Il momento in cui ho deciso di diventare donatrice ha una data precisa: era la notte tra il 29 e il 30 maggio 2020. Era deceduto un signore di 63 anni e, contemporaneamente, mio padre 48enne era in viaggio verso Verona per ricevere il suo rene. Così, dopo quasi cinque lunghi anni, mio padre si è liberato della dialisi, dei suoi annessi effetti collaterali e di tutte le limitazioni che questa comportava.
Gli anni della malattia di mio padre sono stati gli anni della mia adolescenza, dalla seconda media al terzo liceo, in cui tutta la famiglia andava a dormire la sera sperando che arrivasse la famosa chiamata. È arrivata quando eravamo sul punto di perdere le speranze, tutti a casa in una sera post-lockdown, e ci ha cambiato la vita perché, sostanzialmente, ce l’ha ridata.
Il pensiero di aver atteso quella morte, e di averne in un certo senso anche “gioito”, mi mette tanta tristezza. Sono grata a chi nel dolore ha trovato spazio per la generosità, per questo non ho avuto dubbi sul fatto che avrei donato nonostante la paura degli aghi.
A maggio 2021, appena diciottenne, mi sono iscritta al Registro italiano dei donatori di midollo osseo, diventando una possibile speranza di vita per chi è in attesa del trapianto, e sempre nello stesso anno ho iniziato a donare il sangue e qualche tempo dopo anche il plasma.
Oggi sono una volontaria dell’Associazione donatori di midollo osseo e promuovo insieme agli altri volontari l’informazione su questa tematica purtroppo poco conosciuta. Organizziamo incontri di sensibilizzazione nelle scuole, nelle palestre, nelle aziende, in cui spieghiamo che iscriversi è tanto semplice quanto importante.
Una volta mi è stato chiesto come mai abbia scelto Admo e non l’Associazione italiana donatori di organi per il volontariato. La risposta è che la donazione di midollo e cellule emopoietiche si fa da vivi e coscientemente: si ha sempre un po’ la speranza di camminare per strada e incrociare lo sguardo della persona a cui hai salvato la vita.
La paura degli aghi va superata, bisogna relazionarla con le paure ben diverse che hanno i pazienti e capire che non regge il confronto. Io ho trovato il mio metodo: ascolto la musica, non guardo mai l’ago, e quando l’infermiere lo infila faccio un sospiro profondo. Il tempo di un sospiro che salva una vita.