di Davide Ludovisi*
Quando sono stato contattato per raccontare la mia “storia” da donatore di sangue mi sono decisamente meravigliato. Non ho alcuna storia da raccontare, per la verità. Credo di donare sangue da almeno dieci-quindici anni, forse anche più e per me è semplicemente una cosa normale. Anzi, mi sembra persino assurdo che ci sia il bisogno di raccontare un’esperienza che dovrebbe essere considerata come un’azione quasi banale per chi la fa ma dalle conseguenze decisamente importanti per chi la riceve.
Non ricordo neppure come ho iniziato. Forse avrò visto una pubblicità e mi sono detto perché no. Non avevo amici o parenti che stavano male, semplicemente sono andato al centro donatori, ho impiegato in tutto un’ora del mio tempo e mangiato un panino. Tutto qua. E ormai è una prassi che si ripete da lungo tempo. Eppure mancano donatori, soprattutto d’estate.
La realtà è molto semplice: finché non si troverà il modo di ottenere sangue artificiale si dovrà far ricorso a quello umano. E non c’è solo bisogno di sangue per le trasfusioni, ma anche di plasma e piastrine per altri trattamenti. Quindi non occorre aspettare una vocazione mistica per iniziare a “perdere” un’oretta del proprio tempo ogni tanto. E non occorre neanche perdere tempo a leggere “storie” come questa. Se la consideriamo come una routine, la donazione di sangue ci appare per quella che è: una cosa normale.
*Davide Ludovisi è giornalista a Trieste