Il coronavirus ha toccato i nervi sensibili della nostra società, in alcuni casi li ha proprio scalfiti esponendoli all’aria insalubre dell’epidemia. A vivere questo dramma oggi, non ci sono solo le persone che già si trovano ad affrontare una patologia, uomini e donne più esposte al rischio contagio a causa del sistema immunitario debilitato. Esistono poi tutte le persone che hanno una patologia rara, e che quindi si trovano a combattere regolarmente con una malattia alla quale nessuno ha mai cercato una cura. Persone che non ricevono l’adeguata attenzione del sistema sanitario perché la malattia alla quale sono soggetti è rara o orfana di diagnosi.
Chiediamo a Deborah Capanna, presidente del Comitato I Malati Invisibili, cosa significhi vivere con una malattia rara o orfana di diagnosi durante l’epidemia coronavirus.
“Sono affetta da collagenopatia ereditaria. E’ un difetto genetico del collagene e nel mio caso gli organi del mio corpo prolassano. Mi è crollato l’intestino, lo stomaco e per ora non c’è cura. In questi giorni mi hanno chiamato i malati del gruppo di aiuto per raccontarmi che non gli è garantita la terapia di cura che rallenta il progredire della loro malattia. Questo a causa della condizione in cui sono gli ospedali durante l’emergenza coronavirus. Oggi rimandano tutto: visite e controlli, a quando non si sa.
Le malattie rare però vanno monitorate frequentemente. Nel mio caso specifico rischio l’aneurisma cerebrale e addominale e se muoio, non sarà per il coronavirus, ma perchè non ho potuto fare i follow up, cioè i controlli. Alcuni altri membri del Comitato si sono rivolti a me in questi giorni per raccontare che non stanno ricevendo la terapia con gli anticorpi monoclonali. Loro rischiano l’aggravarsi della patologia. I malati come me oggi, oltre a non potersi curare, non hanno nemmeno un’assistenza medica nel caso succedesse loro qualcosa”.
Il sistema sanitario italiano vi ha fornito degli strumenti speciali per proteggervi dal rischio contagio a cui siete esposti più di tutti gli altri?
“Io mi sono cucita da sola la mascherina e per ora non ci è stato fornito nessun dispositivo di protezione individuale. Nonostante siamo in delle liste specifiche, abbiamo le certificazioni e risultiamo pazienti di malattie rare, non abbiamo ricevuto di nessun tipo di attenzione dal sistema sanitario italiano, nessun tipo di aiuto, nè materiale, nè psicologico.
Come presidente del Comitato I Malati Invisibili sono venuta a conoscenza di situazioni sommerse molto gravi presenti nelle famiglie in cui è presente un malato la cui patologia non ha una cura. Alcune famiglie, sono continuamente esposte al rischio contagio mentre si occupano di bambini disabili. I care giver sono costantemente esposti al rischio da Covid-19, andando a fare la spesa o in farmacia per prendere i medicinali. Se i care giver si ammalano, chi si occuperà dei malati? Per ora nè il sistema sanitario nè il governo si sono interessati alla questione”.
Avete ricevuto le giuste attenzioni da parte degli organi istituzionali?
“Stiamo aspettando una risposta alla lettera scritta da Uniamo, la Federazione Malattie Rare, il 31 marzo, e firmata da oltre 150 associazioni che si occupano di persone affette da malattie rare e orfane di una diagnosi. Nella lettera chiediamo in anticipo al governo di non renderci vittime sacrificabili dell’impreparazione e delle gravi carenze del sistema sanitario. Che i medici non si trovino a dover scegliere se salvare la nostra vita o quella di una persona sana. Non abbiamo ancora ricevuto conferma dell’avvenuta ricezione della missiva. Vorremmo una parola di sostegno dal primo ministro Giuseppe Conte, un segno che dimostri che il governo tiene conto della drammaticità della nostra situazione. Per noi significherebbe tanto”.
Qual è stato il vostro impegno durante l’epidemia per tutelare tutte le persone che rappresentate nel Comitato I Malati Invisibili ?
“Il 10 marzo in un appello sono stata tra i primi a chiedere al governo l’applicazione rigida delle regole per il contenimento dell’epidemia. Dal nostro punto di vista le persone che escono in questi giorni, perché vedono la primavera sbocciare, o per farsi una passeggiata, mettono in pericolo le nostre vite. La solidarietà tra gli italiani si dimostra anche dal restare a casa in questo frangente. Abbiamo quindi avviato la campagna con hashtag #seescimiuccidi alla quale è possibile partecipare su Facebook postando una foto con nome cognome, l’età e il nome della malattia, oppure si indica se si è orfani di diagnosi “.
Ci sono delle analogie tra il coronavirus e le malattie rare?
“In un certo senso si, l’ho accennato anche nella lettera che ho scritto il 10 marzo. Forse è possibile che in questo momento la società si renda conto di quello che prova una persona con una malattia rara, perché il coronavirus non ha ancora una cura e quindi si prova quel senso di vulnerabilità e incertezza che sente il malato quando non è prevista una terapia alla quale sottoporsi. Sono due mostri invisibili, però il coronavirus sta catalizzando l’attenzione globale, tutti ora cercano una cura per fermare l’epidemia, invece per noi questo non avviene”.