Da poco più di un anno e mezzo alla guida di Avis, Gianpietro Briola non si stanca mai di rimarcare l’unicità italiana del sistema di raccolta del sangue e del plasma. Una unicità in cui termini come “volontaria” ed “etica” non sono solo belle parole, ma sono il segno tangibile di un patrimonio di cui il Paese dovrebbe essere orgoglioso: due milioni di donatori (1.600.000 solo Avis) garantiscono la quasi autosufficienza del sangue e del plasma, obiettivo non ancora raggiunto nel 2019 ma possibile nei prossimi due-tre anni. Basterebbe poco.
Per esempio, presidente Briola?
“Basterebbe che si colmasse un po’ il gap di donazioni e raccolta tra centronord e centrosud; basterebbe che una metropoli come Roma non facesse parte dell’area che risponde meno, ma piuttosto di quella che in questo campo guida il Paese; basterebbe che si organizzassero un po’ meglio le strutture sanitarie della raccolta. E, mi lasci dire, basterebbe che noi tutti spiegassimo un po’ meglio che sangue e plasma non sono solo risposte all’emergenza trasfusionale ma costituiscono una speranza di vita per tantissimi pazienti”.
Immagino che si riferisca ai plasmaderivati, che è un grande argomento e tra poco ci arriviamo. Ma prima, sintetizzando, che cos’è che oggi fa la differenza tra regioni virtuose e regioni in ritardo?
“L’organizzazione delle strutture sanitarie che si occupano della raccolta è un punto nodale. Orari di apertura, disponibilità del personale, focalizzazione sui diversi tipi di raccolta…”.
Per esempio più attenzione al plasma?
“Certo. Le regioni che lo hanno fatto per prime, cito il Friuli e le Marche, ci hanno fatto capire come si può migliorare. D’altronde la donazione di plasma è diversa da un normale prelievo di sangue, comporta tempi e modalità leggermente più complesse. L’organizzazione sanitaria dovrebbe essere conseguente e non la stessa di dieci o venti anni fa”.
Altri elementi di differenza?
“Sicuramente l’organizzazione del volontariato, più avanti al nord, anche se proprio in quest’ultimo periodo alcune zone del sud hanno evidenziato progressi notevoli. E infine il fatto che dal Mezzogiorno molti giovani vanno via, sia per ragioni di studio che di lavoro. E i giovani, nel mondo dei donatori, significano tantissimo”.
In tutto questo Roma sembra essere, come spesso le accade, un caso a parte. Non è strano che risponda così poco, visti i suoi numeri?
“Credo che su Roma ci sia stato un errore anche nostro, quello di considerarla una città e non, piuttosto, un insieme di città. Comincio a pensare che avere una Avis comunale, a Roma, sia un controsenso rispetto alla complessità della metropoli, fatta di quartieri grandi come capoluoghi di provincia se non di regione. Credo che su questo andremo anche noi a una riorganizzazione della presenza territoriale e quindi della raccolta”.
Nella percezione dell’importanza del plasma, non pensa che sia importante spiegare ai potenziali donatori che cosa è possibile fare con il plasma? Parlo dei plasmaderivati, della cura alle malattie rare…
“Sulle malattie rare le associazioni sono molto impegnate. Avis, anche insieme a Telethon, sta portando avanti iniziative a tutto campo. Emofilia e talassemia, per citare due delle più rilevanti, ci vedono coinvolti su vari fronti, e abbiamo intenzione di aumentare gli sforzi. Recentemente ho avuto un’audizione in commissione parlamentare proprio per spiegare tutto questo, e per raccontare della speranza e della qualità di vita che si può restituire a persone svantaggiate”.
Un caso di cui ha parlato recentemente è stato quello del Plasminogeno, farmaco che cura la congiuntivite lignea, malattia rara su cui finora si poteva intervenire solo chirurgicamente ma senza risultati duraturi, tanto che spesso l’esito finale era la cecità del paziente.
“La vicenda del Plasminogeno è doppiamente motivo d’orgoglio per il nostro Paese. In Italia avevamo dei casi piuttosto seri ma quando le autorità sanitarie chiesero ai grandi player del settore di studiare un medicinale ad hoc, l’appello fu raccolto solo da un’azienda italiana, la Kedrion. Dopo dieci anni di ricerche e investimenti, grazie a Kedrion, l’Italia ha potuto presentare un prodotto che è un collirio, efficace e non invasivo, che per i pazienti di tutto il mondo può essere un’autentica svolta nella vita”.
Il Plasminogeno è entrato tra i farmaci a carico del Sistema sanitario nazionale, quindi i pazienti non devono pagarlo. E stiamo parlando di un plasmaderivato.
“Esattamente. E i donatori, ma più in generale tutti i cittadini, devono saperlo. Devono sapere che dal plasma donato si può arrivare a dare un’esistenza migliore a tante persone, non solo rispondendo alle emergenze per le quali ogni tanto sentiamo gli appelli, ma sostenendo quel flusso di lavoro che significa vita, che magari si vede meno ma che è continuo, indispensabile, e che più riusciremo a renderlo consistente, più daremo speranza e possibilità a chi ha bisogno”.
Quanto lei parla dell’unicità del sistema italiano, si riferisce anche a questo.
“Certo. Parlo di un sistema che è un modello sempre più necessario rispetto ai tempi che stiamo vivendo, dove approccio etico e senso di comunità sono fondamentali. La sfida è arrivare all’autosufficienza piena con questo nostro modello, anche per non essere costretti a doversi rivolgere a paesi (leggi gli Usa) dove la donazione è remunerata e dai quali sarebbe bene non dover dipendere”.