Una sola sacca di sangue disponibile. Con scorte maggiori, forse, Santina Adamo si sarebbe potuta salvare. Santina è la donna di 36 anni che, lo scorso 17 luglio, è morta nell’ospedale di Cetraro, in provincia di Cosenza, dopo aver partorito il secondo figlio.
Un caso che ha scosso non poco l’opinione pubblica anche perché rilancia, ancora una volta, il problema della mancata autosufficienza di alcune regioni italiane e, di conseguenza, l’importanza di donare il sangue e sensibilizzare sempre più persone a farlo. Quella che al momento rimane soltanto un’indiscrezione, emergerebbe da una relazione riservata della struttura ospedaliera e finita agli inquirenti.
Santina sarebbe morta nell’attesa che arrivassero sacche di sangue per effettuare le trasfusioni necessarie, visto che a Cetraro ce ne sarebbe stata solo una compatibile: quando dal centro trasfusionale di Paola, il più vicino, sono giunte in sala operatoria, la donna già non c’era più. Impossibile stabilire se al momento sia davvero questa la causa della tragedia, ma di certo si tratta di una pagina tristemente importante che coinvolge l’intero sistema sangue.
Per contribuire a fare luce su questa vicenda, la ministra della Salute Giulia Grillo, ha disposto l’invio di una vera e propria task force composta da dirigenti del ministero, Istituto superiore di sanità, Agenas (l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), carabinieri dei Nas e un delegato delle Regioni.