La popolazione italiana invecchia, invecchiano anche i donatori e così il sangue donato. Associazioni, federazioni e istituzioni del Sistema sangue italiano cercano dunque di trovare nuove leve. Il solco generazionale tra i giovani e i donatori “anziani” cresce sempre più: serve fare qualcosa.
Se infatti i donatori maturi restano lo zoccolo duro che “sostiene” la raccolta sangue in Italia – ed è un bene che continuino, sempre, a donare – è tuttavia necessario che i giovani si avvicinino a questo gesto altruistico.
La situazione attuale
Negli ultimi anni la fascia di donatori italiani tra i 18 e i 35 anni si è ridotta a tal punto che, secondo una stima del Centro nazionale sangue, entro il 2020 la raccolta potrebbe calare del 4,5 per cento. La spina dorsale dei donatori, notoriamente, sta nella fascia di età che va dai 45 ai 60 anni: su questo dato pesa certamente anche l’invecchiamento progressivo del nostro Paese.
Il commento di Vazquez, coordinatore nazionale Giovani Fidas
Anche Elia Carlos Vazquez, coordinatore nazionale dei Giovani Fidas, la pensa così. Il dirigente della federazione, che abbiamo raggiunto al telefono, crede che l’invecchiamento della popolazione italiana sia il vero problema della raccolta sangue.
«Purtroppo le donazioni sono in diminuzione: sia quelle degli adulti che quelle dei giovani (Fidas considera in quest’ultima fascia le persone tra i 18 e i 28 anni ndr). Certo, c’è un calo, ma non è che i giovani d’oggi donino meno di quanto accadesse in passato. È una questione demografica. La popolazione italiana sta invecchiando e dunque anche i donatori, che sono sempre di meno. Siamo il secondo paese più vecchio al mondo, dietro soltanto al Giappone. Nel lungo termine questo fattore potrebbe incidere sull’autosufficienza ematica. Sappiamo che ci sarà meno sangue, dunque serve sensibilizzare ancora di più i giovani a donare, non perché non lo facciano abbastanza, ripeto, ma perché la popolazione sta invecchiando».
“Reclutare” i nuovi italiani
«Per riuscire almeno ad attutire l’incidenza dell’invecchiamento sulla raccolta sangue, stiamo lottando – ci spiega Vazquez – per coinvolgere i nuovi italiani. È una fetta di popolazione vasta e con un’età media molto bassa rispetto al resto del paese. Potrebbero essere questi ultimi a rendere possibile il mantenimento della nostra autosufficienza.
Consideriamo tuttavia che in Italia il dono è volontario, gratuito e non retribuito. Quindi bisogna ben motivare queste persone, dobbiamo integrarle nella comunità. Dobbiamo fargli comprendere appieno i valori che stanno dietro alla donazione come altruismo e solidarietà. Una persona dona soltanto se pienamente integrata, deve sentirsi parte di qualcosa. È stato dimostrato che il livello di istruzione influisce sulla volontà di donare, dunque, informare e integrare altre comunità diventa essenziale. Quando parlo di “nuovi italiani”, intendo persone che vivono qui da anni oppure nate nel nostro paese, provenienti da altre comunità ed etnie, che magari parlano benissimo la nostra lingua anche se non hanno la cittadinanza italiana«.
Coinvolgere migranti e “nuovi italiani”
I giovani, quindi, non sono soltanto quelli nati nel nostro paese. Se secondo i vertici dell’Inps, gli immigrati contribuiscono in modo sostanzioso a pagare le nostre pensioni, possono anche “versare sangue”.
In tal senso vanno diverse iniziative ben avviate, quale il coinvolgimento di alcuni migranti già sperimentato da alcune associazioni.
Importante – come suggerito dai Giovani Fidas – anche coinvolgere altre comunità, magari già da anni residenti in Italia: in questo senso molto è stato fatto in diverse città, ad esempio con le comunità islamiche.
Il “caso Liguria”
In Liguria, dove negli ultimi giorni sono state registrate carenze di sangue, con un importante intervento rinviato al “Gaslini” di Genova per scorte insufficienti, sono infatti i giovani ad avere avuto un forte calo nella donazione. La loro percentuale di donazione si assesta intorno al 20% secondo dati raccolti dal Centro regionale sangue, come sottolineato in un appello ai donatori liguri anche dal consigliere regionale e capogruppo della Lega, Franco Senarega.
Restando “in zona”, il dato è stato confermato dal presidente di Fidas Liguria, il medico ed ematologo Emanuele Russo: «Nei giorni scorsi – ha commentato in un’intervista che ci ha rilasciato in esclusiva – abbiamo tenuto una conferenza stampa, nel corso della quale abbiamo segnalato un netto calo delle donazioni, proveniente soprattutto da volontari compresi nella fascia d’età tra i 18 e i 40 anni; un calo importante; superiore al 10% (…)».
Un calo più vicino al 20 che al 10 per cento, secondo quanto sottolineato soltanto pochi giorni fa, proprio nel corso di tale conferenza stampa, dal direttore del Centro regionale sangue Liguria, Paolo Strada.
Lo scarto generazionale visto dal presidente Avis Argentoni
Su tale argomento si è mostrato fiducioso il presidente nazionale Avis, Alberto Argentoni, il quale in un’intervista esclusiva ci ha spiegato che «il dato più importante è l’indice di donazione. Ciò che conta davvero – ha detto a proposito dello scarso ricambio generazionale tra i donatori – sono frequenza e fidelizzazione.
«La popolazione italiana sta invecchiando – ha aggiunto – e con lei anche i donatori, abbiamo avuto un innalzamento dell’età media. Pur tenendo conto di questo fatto, possiamo dire che i giovani non sono venuti del tutto a mancare. Tuttavia accade che questi donatori di età più bassa, viaggino molto e alcuni di loro possono assumere comportamenti a rischio. Di conseguenza l’indice di donazione (numero di donazioni/anno, ndr) si abbassa. Nel complesso abbiamo donatori più anziani rispetto al passato, ma il nostro turnover è comunque soddisfacente».
Perché i giovani donano poco
Non sono ben informati, lo abbiamo visto con il progetto “Blood confusion” ideato dall’area comunicazione del Centro nazionale sangue, che ha portato ad intervistare oltre 100 giovani tra i 17 e i 35 anni.
La paura degli aghi resta la prima causa che spinge i giovani a non donare il sangue, altri credono che avere tatuaggi o piercing li escluda definitivamente dalla possibilità di farlo. Altri ancora, invece, non si fidano del sistema che gestisce il prelievo e temono che le sacche vadano perdute. Moltissimi, infine, credono che fumare cannabis e bere molto alcol gli impedisca di diventare volontari. Niente di più errato, ovviamente: ma serve comunicarglielo. E bene.
Il progetto Blood confusion ad esempio lo ha fatto, realizzando una campagna di sensibilizzazione ad hoc che vada a colpire proprio quelle sacche di disinformazione rintracciate nel sondaggio.
I risultati di quest’ultimo progetto sono gli stessi cui, in buona sostanza, è pervenuta un’indagine Censis-Fidas su base nazionale.
I ragazzi intervistati dallo staff dell’istituto Mangiagalli di Milano, infatti, hanno indicato quali principali ragioni della disaffezione al dono la non dettagliata informazione sul «come» essa avvenga, e sulle eventuali conseguenze per la salute – a partire dalla paura degli aghi, fino al rischio di svenimenti e di contagio – e l’assenza di moderne e accattivanti campagne di sensibilizzazione.
Molti di essi hanno ammesso una certa pigrizia, sconfitta negli anni scorsi soltanto da grandi emergenze nazionali e internazionali (i recenti terremoti del Centro Italia e gli attacchi terroristici).
Le possibili soluzioni
Occorrono, dunque, nuove e più moderne strategie di comunicazione. Sul come realizzarle e sulle priorità da seguire, sono gli stessi giovani intervistati da Censis-Fidas a fornire preziose indicazioni.
Più frequenti e coinvolgenti attività nelle scuole; piccoli riconoscimenti simbolici per i volontari (dai crediti scolastici fino a gadget e spuntini), ma soprattutto attività di promozione in occasione di eventi sportivi, culturali e musicali; la presenza nelle campagne di sensibilizzazione di testimonial del mondo dello spettacolo e dello sport, quali modelli da imitare nel loro slancio di solidarietà.
Tra le soluzioni possibili, possiamo dunque annoverare una migliore comunicazione che sappia attrarre i giovani, il coinvolgimento di migranti e nuove comunità etniche e religiose sorte nel nostro Paese, il ricorso a testimonial del mondo dello sport e dell’arte.
Serve realizzare nuove strategie di “reclutamento”: come affiancare agli eventi classici, che finora hanno sostenuto la raccolta sangue (cene sociali, sagre e giochi), nuovi modelli di interazione e incontro pensati per nuovi target.
Avis e la comunicazione di rete
In tal senso va anche la forte attenzione che Avis nazionale ha dato in questi giorni alla comunicazione, una comunicazione di rete che coinvolga maggiormente soci, donatori, potenziali tali e chiunque in generale possa in qualche modo avvicinarsi al mondo della donazione.
Giovani Fidas e il web
In fatto di sensibilizzazione “virtuale”, anche il coordinamento dedicato alle nuove leve della federazione, però, è sulla stessa lunghezza d’onda di Avis.
«Lavoriamo molto anche sui social – ci dice Elia Vazquez – e sul ricambio anche dei volontari, non soltanto dei donatori. Puntiamo molto sulla comunicazione. Abbiamo fatto un duro lavoro soprattutto su Facebook, proponendo temi affascinanti e accattivanti, in modo da attrarre i giovani. È importante avere un ritorno “social”, anche se non bisogna mai dimenticare i valori-base della donazione. Però, per attrarre nuovi volontari, serve qualcosa di appetibile: strumenti e linguaggi nuovi, così come eventi innovativi; non possiamo continuare ad affidarci soltanto a quelli utilizzati in passato.
«Un altro aspetto importante – aggiunge il coordinatore Giovani Fidas – è affiancare alla donazione qualcosa di molto appassionante e che i giovani conoscono bene. Ad esempio, lo sport: i ragazzi ne fanno tanto, dunque è importante organizzare iniziative che uniscano uno stile di vita corretto alla donazione. Siamo nell’era dell’immagine – conclude Vazquez – e quindi dobbiamo esser bravi a far nascere attrazione e curiosità per la donazione».
Social, testimonial, incentivi e scuole
Donare il sangue, insomma, deve diventare attraente. Il giovane potenziale donatore va cercato e reclutato nel suo ambiente: nelle scuole (dove infatti associazioni e federazioni fanno un lavoro incessante), nelle piazze, ma soprattutto sul web: sui social network, YouTube, nei videogame e nelle fiction che piacciono ai ragazzi.
Ben vengano dunque campagne di sensibilizzazione create ad hoc, “meme” per Instagram, Facebook e Twitter. Molto divertente, ad esempio, quello realizzato poco tempo fa dall’Avis di Carinaro, su Berlusconi che invita a donare con il proprio «uno, due e tre», esibito nella conferenza stampa al Quirinale.
Buona idea far promuovere la donazione a cantanti famosi (Tiziano Ferro e Gigi D’Alessio, per citarne un paio), ma anche a idoli dello sport quale Valentino Rossi. Forse, però, è il caso di coinvolgere qualche “mc”, visto che il rap è il genere musicale più seguito dai giovani.
Tornando agli “incentivi”, l’Avis comunale di Pescara, ad esempio, ha dato una t-shirt in omaggio a tutti i ragazzi – tra i 18 e 30 anni – che sono andati a donare il 29 aprile scorso. Anche questa, senz’altro, è un’iniziativa da replicare.