Plasma iperimmune, la conferenza stampa della Regione Lombardia

2020-05-15T09:48:26+02:00 11 Maggio 2020|Attualità|
di Giancarlo Liviano D'Arcangelo

Una conferenza stampa intensa quella che si è tenuta oggi lunedì 11 maggio alla Regione Lombardia, perché è stata l’occasione in cui diffondere e presentare i risultati della sperimentazione sul plasma iperimmune portata avanti dagli Ospedali di Mantova e di Pavia.

La terapia al plasma iperimmune, come sappiamo, è stata oggetto nelle ultime ore di molte discussioni, in seguito alla recente scelta del Ministero della salute di dare al protocollo Tsunami facente capo all’ospedale di Pisa il ruolo di capofila della sperimentazione nazionale. In tal senso, sono apparse distensive le parole del governatore Fontana, che ha ribadito il primato di Pavia e Mantova come centri originari da cui la sperimentazione virtuosa è partita, un primato riconosciuto anche dal governo: al di là delle scelte tecniche, ha spiegato Fontana, non bisogna considerare nessun protocollo secondo a qualche altro, dato che la terapia di Pavia è stata richiesta in altre parti del mondo.

Il percorso seguito per far progredire la sperimentazione della terapia è stato raccontato da Carlo Nicora, direttore generale dell’ospedale San Matteo di Pavia. “Tra la seconda e la terza settimana di marzo in Lombardia, c’erano già 8.100 persone positive, e i ricercatori hanno studiato qualcosa che già era stato utilizzato in passato, ovvero l’immunizzazione passiva attraverso il plasma di individui guariti. Sono quattro i punti che hanno colpiti i ricercatori: il fatto che il metodo fosse stato già utilizzato, l’opportunità di raccogliere il plasma da donatori locali guariti dallo stesso ceppo di virus, il fatto che plasmaferesi era ubiquitaria e facilmente attivabile nella nostra struttura e in quelle che hanno partecipato. Infine, non esistevano studi sull’efficacia di questa terapia sul Coronavirus, da cui è nata l’idea di uno studio pilota per capire se poteva funzionare, con tre obiettivi: ridurre la mortalità, migliorare i parametri respiratori, e infine agire sull’infiammazione”.

Che risposte ci sono state su questi 3 obiettivi? Lo ha spiegato il virologo Fausto Baldanti, fornendo coordinate tecniche e di metodo. “Gli anticorpi neutralizzanti sono anticorpi che riconoscono la struttura superficiale del virus, e rivestendo le cellule fanno in modo che il virus non possa più infettarle. A marzo, quando abbiamo iniziato a parlarne, non esisteva alcun tipo di test sierologico. La scelta è stata quella di isolare il virus in vitro su cellule umane, prendendo il siero dei pazienti guariti abbiamo visto che la distruzione cellulare veniva fermata. Era la prova che nel siero dei guariti c’erano anticorpi in grado di agire sul virus. A quel punto serviva capire quanto siero serviva. Non abbiamo scoperto l’acqua calda: abbiamo individuato quale diluizione di siero è in grado di uccidere il virus in coltura. Ciò per fare un esempio significa con quanta acqua possiamo diluire il vino continuando a sentirne il sapore. Abbiamo trovato in alcuni guariti titoli estremamente elevati fino a 1/640 (cioè diluendo il plasma fino a 640 volte è ancora in grado di uccidere il virus). Titoli elevati sono quelli superiori a 1/160, poi ci sono pazienti con titoli più bassi. Per poter usare il plasma bisognava caratterizzarlo sul potere di neutralizzazione, condizione necessaria per evitare risultati sconfortanti, come è successo per alcuni gruppi cinesi. Tutto questo è avvenuto nelle prime tre settimane di virus in Lombardia, e abbiamo capito che per avere risultati chiari bisognava dare la stessa dose di plasma a tutti”.

Al professor Perotti è stato affidato il compito di spiegare i criteri di sicurezza e di raccolta plasma, che naturalmente sono stati molto rigidi. “Per noi la priorità – ha detto Perotti – era raccogliere il plasma in assoluta sicurezza e possibilmente in modo rapido. La possibilità ci è fornita dai separatori cellulari, apparecchiature che a oggi sono in funzione in 36 centri in Lombardia. La base per la raccolta è molato ampia, ma bisogna seguire un percorso di triage che comporta la ricerca del soggetto e la garanzia della sicurezza con visita medica. A quel punto in circa 35-40 minuti è possibile un prelievo di circa 600ml, perché abbiamo stabilito che una dose corretta è di 300 a paziente, per cui da ogni donazione si ricavano due dosi di plasma potenzialmente utile”.

I risultati dettagliati della sperimentazione lombarda saranno forniti in settimana, ma intanto ciò che è incontrovertibile è stata la grande riduzione generale della mortalità complessiva in reparto, ridotta da un range del 13/20% al 6%, giacché tutti i pazienti trattati col plasma hanno ottenuto miglioramenti, sia sul piano respiratorio che sulle infezioni.

Ma in che modo la sperimentazione finora effettuata influirà sulle scelte politiche future? Su questo punto si è espresso in modo dettagliato Giulio Gallera, assessore al welfare della regione Lombardia, che ha annunciato la creazione della banca del plasma iperimmune, proprio com’è avvenuto in Veneto, sulla base di criteri di sicurezza organizzati in un protocollo stabilito assieme agli scienziati lombardi, un protocollo che comprenderà la chiamata diretta dei donatori dopo l’effettuazione di screening con i test sierologici a 500mila persone. Chi avrà gli anticorpi neutralizzanti riceverà la richiesta di donare il plasma” ha detto Gallera, con l’obiettivo di poter contare su materia prima disponibile per i pazienti bisognosi nel momento in cui sarà più necessario.

In attesa dei risultati in dettaglio, e della fase due della sperimentazione sempre su un numero maggiore di pazienti dunque, vanno registrati questi passi positivi in avanti nel medio termine, con l’organizzazione della donazione e il l’immagazzinamento” del plasma, per poter avere a disposizione strumenti validi contro il Coronavirus in attesa e in alternativa al vaccino.