“Con fatica riusciamo a garantire l’autosufficienza per il nostro territorio, la Valle d’Aosta, ma anche le scorte di sangue che dobbiamo assicurare alla Sardegna per le cure e l’assistenza ai pazienti talassemici“. Spiega così Pierluigi Berti, presidente di Simti (la Società italiana di medicina trasfusionale e immunoematologia) e direttore della struttura complessa di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale dell’Ausl VdA, la situazione che in questo periodo estivo sta vivendo il territorio.
Un territorio che, seppur piccolo a livello geografico, deve far fronte alle richieste di pazienti politraumatizzati o oncologici, nonché alle necessità di tutti quei turisti che, nonostante siano lontani dai propri luoghi di residenza, hanno comunque bisogno di proseguire determinate terapie. Benché i numeri collezionati nel corso del 2018 siano positivi, come puntualizza Berti a DonatoriH24 “non possiamo considerare la Valle d’Aosta come una regione immune da criticità”. Spieghiamo perché.
Lo scorso anno sono state 5.822 le unità di sangue intero raccolte e 1.398 quelle di plasma: “Ben 25 settimanali, cioè circa 1.300 annue, sono quelle che garantiamo alla Sardegna – prosegue il presidente -. In questo 2019 prevediamo un leggero calo della raccolta di globuli rossi, in linea con quelle che sono le previsioni nazionali, ma cerchiamo di restare stabili sulla raccolta del plasma”. Le previsioni nazionali sono quelle contenute nel Programma di autosufficienza nazionale del sangue e dei suoi prodotti, il documento (che ha già incassato l’ok sia della commissione Salute delle Regioni che della conferenza Stato-Regioni e che nelle prossime settimane approderà in Gazzetta Ufficiale), che indica i consumi storici, i livelli di produzione necessari, nonché le linee guida per la compensazione interregionale e il monitoraggio dell’autosufficienza.
Proprio su quest’ultimo punto, l’autosufficienza, Pierluigi Berti esprime le sue perplessità: “Occorre un piano che risolva la carenza di personale sanitario nei Centri trasfusionali. Le strutture vanno in difficoltà quando ampliano l’orario, così da accogliere più donatori, perché non ci sono medici e infermieri a sufficienza per assisterli. Se non garantiamo la presenza di queste figure professionali, rischiamo di non centrare l’obiettivo dell’autosufficienza”. Cosa si può fare quindi?
“Iniziare a ragionare su una riforma dei programmi accademici potrebbe sicuramente essere utile, ma garantirebbe benefici nel futuro, non certo ora – spiega Berti -. Chi esce dall’università, spesso, non sa cosa sia la medicina trasfusionale e lo stesso vale per chi si specializza. Il reclutamento dei medici per le strutture trasfusionali è avvenuto attingendo dalle scuole di specializzazione, ecco perché come Simti abbiamo voluto portare all’attenzione del ministero della Salute quanto avviene nei centri trasfusionali nel corso della recente maratona Patto per la Salute“.
E sul tema del plasma, su cui la stessa Valle d’Aosta risponde non senza difficoltà, Berti invita a concentrare l’attenzione sulla domanda crescente di farmaci plasmaderivati: “Soprattutto le immunoglobuline endovenose stanno facendo registrare una richiesta sempre maggiore. Ipotizzare un’autosufficienza nazionale sulla raccolta volontaria e non remunerata è una missione affascinante che garantirebbe prestigio e valore aggiunto alla nostra comunità scientifica, all’impegno dei donatori e del Centro nazionale sangue. Per ottenere tutto questo, però – conclude il presidente -, è necessario un controllo più serrato che ancora manca. Troppe regioni hanno consumi inappropriati di farmaci plasmaderivati, o per quantità o per patologie per le quali vengono impiegati e che potrebbero essere curate con altri metodi”.