Perché ho iniziato a donare sangue? Devo dire la verità, io non ci avevo neanche mai pensato. Poi mio zio, il fratello di mia mamma, che ho perso tanto tempo fa, è stato molto male. Avevo perso mia mamma, non volevo perdere anche mio zio. Forse in molti iniziano così: sono corso in ospedale, ero angosciato, non sapevo se ce l’avrebbe fatta.
Quando sono arrivato in ospedale mi hanno detto che avrebbe dovuto sottoporsi a un intervento delicato. Avrebbe probabilmente perso sangue ed io senza pensarci due volte ho chiesto se potevo dargli il mio. Mi hanno detto che in Italia non si può dare il sangue a una persona precisa, ma che avrei potuto donare comunque, per chi ne avrebbe avuto bisogno nei giorni successivi. Sono andato al centro trasfusionale dell’ospedale dove era mio zio, il San Camillo di Roma e mi sono messo in fila.
Mentre attendevo ho starnutito. Uno degli infermieri mi ha sentito e mi ha subito detto: «guardi, è meglio che lei non doni». «E’ allergia – ho spiegato subito – non sono raffreddato». «Per precauzione è meglio che torni un’altra volta», mi ha ripetuto.
Deluso, sono andato via. Mio zio poi è guarito. Ma a me è rimasta la “curiosità” di donare. Finito il periodo primaverile delle allergie sono andato. Parliamo di cinque anni fa. Da allora senza regolarità, devo ammetterlo, vado a donare.
Perché? Perché in effetti ora mi sembra un gesto normale, nulla di eroico o terribile. In più mi fanno anche i controlli di routine e quindi evito di dover andare a farmi le analisi in altri momenti. E’ davvero un gesto semplice che però, come a mio zio, può salvare la vita. Così semplice e “normale” che non ho voglia di farmi pubblicità. Per questo ho accettato di raccontare la mia storia, così che possa essere utile, ma il mio vero nome non ve lo dirò. Accontentatevi di questo, di fantasia.
* Emiliano De Biasi è ingegnere a Roma
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