Roma è il comune più popoloso d’Italia con i suoi quasi 2 milioni 800 mila abitanti, eppure è una delle città più problematiche sotto al profilo della raccolta sangue e, soprattutto, del plasma.
Il caso Roma zavorra, non solo simbolicamente ma soprattutto nella crudità dei numeri, il sistema sangue italiano con una carenza ormai cronica che ha diverse cause sulle quali costruire soluzioni. Strutturali, non emergenziali.
Nei giorni scorsi, RomaH24 (testata che come DonatoriH24 fa parte del Gruppo Typimedia) ha intervistato il professor Andrea Volterrani, dell’Università di Tor Vergata: il sunto è che se la Capitale donasse come le altre città del centro Italia, il Paese risolverebbe tutti i suoi problemi di autosufficienza.
Sul fronte plasma i dati raccontano che nel Lazio non si superano i 7.7 chilogrammi per mille abitanti, la media nazionale è di 18 chili mentre la regione più virtuosa, il Friuli-Venezia Giulia, contribuisce con 24 chilogrammi.
Abbiamo chiesto ai referenti territoriali di Avis, Fratres e Fidas il perché di questa mancanza che, secondo loro, è individuabile in due grosse criticità: la mancanza di strutture che capillarmente servono il vasto territorio capitolino (1.287 chilometri quadrati. Roma, sotto l’aspetto identitario, è una federazione di città più o meno grandi, ognuna con una propria identità ben segnata) e le campagne di sensibilizzazione che non attecchiscono tra la popolazione. L’emergenza Covid, inoltre, esacerba una situazione già storicamente precaria.
Raniero Ranieri, presidente di Avis Roma
“Roma, proprio per la grandezza del territorio, è troppo dispersiva — spiega il presidente di Avis Roma, Raniero Ranieri —. Oltre alle autoemoteche sarebbero necessari più punti trasfusionali distaccati nei quartieri. Un’idea, un’opportunità, potrebbero essere le Case della Salute, dotarle della tecnologia adatta alla scopo e, soprattutto, del personale trasfusionista. La donazione del plasma è un’operazione che dura circa quaranta minuti, molto più di una normale raccolta sangue. Oltre a questo tempo va sommato il tragitto di andata e ritorno dal centro trasfusionale, tempi che scoraggiano i potenziali volontari. C’è anche un problema di costi: l’autoemoteca, tra mezzi e personale per una giornata di raccolto, ha un costo: se il numero di prenotazioni non raggiunge un determinato tot non si rientra delle spese corrisposte dalla Regione e quindi gli appuntamenti corrono il rischio di saltare. Allora suggeriamo al volontario di recarsi in un centro trasfusionale, ma torniamo al problema di prima, siamo sicuri che ci va?”. Programmazione e sensibilizzazione sono essenziali, ma non possono bastare. “A causa dell’emergenza pandemica siamo tornati nelle scuole soltanto negli ultimi mesi — prosegue Ranieri — ma poi le scuole chiudono e gli studenti vanno in vacanza, quanti di loro andranno a donare? Ci vorrebbe una solida campagna donazionale, una sinergia tra associazioni e istituzioni che oggi manca”.
La carenza di plasma, chiosa Ranieri, è anche figlia dell’evoluzione della medicina: “Grazie ai progressi della scienza, per i quali sempre più patologie possono essere curate dai farmaci plasmaderivati, c’è già e ci sarà sempre più bisogno di plasma. La richiesta cresce e, visto che l’Italia non è autosufficiente, aumenterà anche la domanda di plasma estero”.
Paola Tosi, presidente di Fidas Lazio
La questione delle nuove leve torna nel pensiero di Paola Tosi, presidente delle associate Fidas nel Lazio: “La storica e strutturata carenza di globuli rossi nel Lazio ha certamente concentrato l’attenzione di servizi trasfusionali e associazioni sulla donazione di sangue intero. Questa carenza permane e pertanto i globuli rossi rimangono l’obiettivo principale da raggiungere ma accanto a questo, è possibile aumentare la cultura del dono del plasma lavorando sul reclutamento, anzi recupero in senso positivo, proprio dei donatori non idonei per il sangue intero e sulla fidelizzazione di quanti già donano, rendendo sempre più naturale la donazione di plasma accanto alle due donazioni all’anno di sangue che proponiamo. La donazione di plasma offre inoltre la possibilità di ampliare gli orari della donazione e anche questa strada dovrebbe essere percorsa per agevolare i donatori rispetto agli orari di lavoro”.
Maurizio Colace, vicepresidente vicario di Fratres Roma
“A Roma mancanza una coscienza collettiva — esordisce Maurizio Colace, vicepresidente vicario di Fratres Roma — eppure i romani sono un popolo dal grande potenziale quando si tratta di solidarietà. Vi racconto un semplice aneddoto che mi è accaduto in famiglia. Durante la fase più dura dell’emergenza Covid mia figlia ha fatto sette ore di fila all’Umberto I per poter donare il sangue. Finito il periodo emergenziale, però, in pochi hanno continuato a contribuire. Quel che manca è una seria e strutturata campagna di informazione e sensibilizzazione. Inoltre, i centri trasfusionali sono pochi e la gente sarebbe costretta a spostamenti, nei tempi e nei chilometri, troppo lunghi. Tre solo autoemoteche, in un territorio immenso come Roma, si capisce benissimo che non possono bastare”.
La richiesta di sacche di sangue dalle regioni più virtuose rappresenta anche un costo non indifferente per le casse del sistema sanitario regionale: “Roma spende tantissimo di trasporto — chiude Colace — oltre alle spese del prelievo, la Regione Lazio deve accollarsi anche i costi dei mezzi che portano il sangue in città. Non sarebbe meglio spenderli in altro modo? Magari in campagne e sedi adatte allo scopo?”.
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