La pandemia non ha cambiato solamente le più banali abitudini quotidiane delle persone, riducendo le interazioni sociali, gli spostamenti, il tempo passato in luoghi chiusi o in ufficio. Anche nel mondo della donazione del sangue sono state stravolte le modalità di raccolta, la strategia messa in campo dai volontari delle tante associazioni che si occupano di fornire ai centri trasfusionali degli ospedali le sacche sufficienti per affrontare sia l’attività di routine, sia – anzi, soprattutto – le emergenze.
A raccontarcelo è Raniero Ranieri, presidente dell’Avis comunale di Roma.
Presidente, qual è lo stato di salute della donazione di sangue nella nostra città?
Indubbiamente bisogna avere a che fare con il timore generale delle persone dovuto al Covid-19. Da questo tema, però, è scaturita una maggiore responsabilità da parte dei donatori abituali, che percepiscono ancor di più l’importanza di questo gesto anonimo e volontario, perché il sangue è un medicinale salvavita senza il quale alcune patologie sarebbero incurabili.
Come sono cambiate le abitudini nel campo della donazione?
Nella nostra regione a differenza di altre, in epoca precedente al Covid-19, difficilmente ci si prenotava per andare a donare. Ora la gente ha capito, è diventata una consuetudine. Dal punto di vista di noi associazioni, la strategia si è modificata: è stato ed è tuttora difficile se non impossibile organizzare raccolte nelle aziende o nelle scuole, visti lo smart working e la didattica a distanza. E allora abbiamo intensificato la sensibilizzazione nelle parrocchie, senza limitarci però: siamo andati a conoscere e fare informazione verso musulmani, mormoni, ortodossi e anche con Scientology abbiamo aperto un canale.
I donatori, soprattutto i non abituali, hanno paura dei centri trasfusionali?
C’è del timore, perché si assimilano i centri trasfusionali agli ambienti ospedalieri, in epoca di Coronavirus si pensa quindi sia più semplice ammalarsi. Ma lo posso dire senza paura di smentita: dove si raccoglie il sangue l’igienizzazione e la sterilizzazione sono impeccabili, anche più del dovuto. Col sangue non si scherza.
Tiriamo le somme sulla situazione della disponibilità di sangue a Roma
A livello nazionale l’Italia è autosufficiente, ma non lo è localmente. Ci sono regioni che necessitano dell’intervento di altre, dove le sacche abbondano. Roma, come il Lazio tutto, si trova nelle condizioni di dover chiedere aiuto altrui, ma data l’emergenza Covid-19 anche chi ha normalmente più sangue, si trova impossibilitato a fornircelo. Il problema poi sa qual è? La popolazione invecchia e si ammala più frequentemente, i gruppi di donatori restano per lo più invariati e con l’avanzare dell’età e il sopraggiungere di determinate patologie, molti non sono più idonei. Da tempo come Avis stiamo puntano a coinvolgere i giovani, a creare una cultura della donazione, ma i risultati non si vedono domani. Ci vuole tempo e aiuto dalle istituzioni.
Ci spieghi..
Le regioni devono iniziare una campagna mediatica battente che inviti la popolazione a donare. Non solo quando c’è un’emergenza sanitaria, ma sempre. Noi associazioni ci mettiamo la volontà e l’impegno sul territorio, ma serve una programmazione e un investimento dall’alto. La carenza di sangue non è solo nel periodo estivo, come sento spesso dire: 12 mesi l’anno mancano le sacche. E poi donare significa anche monitorare periodicamente il proprio stato di salute, andando a individuare problematiche di cui non abbiamo ancora sentore ma che con le analisi vengono fatte emergere e si possono affrontare tempestivamente, rinforzando uno stile di vita sano da ogni punto di vista.