La riduzione degli interventi chirurgici ha ridotto anche la necessità di scorte di sangue negli ospedali. Ma a quale prezzo abbiamo convertito tutti i reparti e le sale operatorie in reparti Covid-19?
Per capire meglio cosa sta avvenendo nel retroscena del nostro sistema sanitario abbiamo intervistato Pierluigi Marini, presidente dell’associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani (Acoi).
L’associazione attiva dal 1980 ha da poco scritto una lettera al ministro Speranza, indicando che “i cittadini affetti da tumore ed altre malattie stanno perdendo qualsiasi possibilità di trattamento adeguato” per i ritardi dovuti alla posticipazione delle cure.
Gli interventi chirurgici sono stati ridotti a causa dell’epidemia…
A giugno abbiamo avviato un’indagine alla quale hanno risposto mille centri di chirurgia su tutto il territorio nazionale. Secondo i dati raccolti erano 600mila gli interventi chirurgici cancellati dall’inizio dell’anno, di cui 50mila solo di chirurgia oncologica.
Cosa comportano questi numeri?
E’ un problema gravissimo di cui nessuno parla. In Italia ci sono 1000 nuovi casi di cancro al giorno e il tumore è una malattia tempo dipendente e più tardi si inizia il percorso diagnostico e minori sono le probabilità di guarigione. Se si perde tempo l’outcome del paziente potrebbe essere drammatico.
Cosa è successo in seguito?
Abbiamo fatto un aggiornamento della survey e i dati, ancora una volta, hanno dimostrato che a giugno c’era stata una ripresa molto blanda, del 50 per cento della chirurgia oncologica. A giugno avremmo dovuto lavorare al 150 per cento per recuperare tutti gli interventi persi. Invece la chirurgia di elezione, quella tradizionale, ha ripreso solo al 25 per cento. Il cancro per essere curato necessita di una diagnosi precoce e trattamento entro 30 giorni. Non sta succedendo né l’una né l’altra cosa.
Ed oggi?
Stiamo facendo il terzo aggiornamento della survey. I numeri sono preoccupanti. Ho scritto a tutte le regioni chiedendo di riaprire le sale operatorie e far tornare ad operare. Alcuni chirurghi sono stati trasformati in pneumologi, anestesisti, non è il nostro lavoro e rischiamo problematiche di tipo legale. Non c’è stata la ripresa che auspicavamo. Abbiamo perso 1.400mila procedimenti di screening, quasi 50milioni di esami diagnostici.
E in pratica, cosa significa?
Mi capita di compiere operazioni chirurgiche su pazienti oncologici in uno stato di avanzamento dei tumori molto gravi, che non ero più abituato a vedere. In futuro potrebbe esserci una mortalità anche superiore al Covid, legata ai tumori e alle malattie vascolari.
Cosa sarebbe necessario per cambiare questo stato delle cose?
Serve un piano Marshall vero di investimenti in tecnologia medica e risorse umane per tornare a curare i pazienti non Covid. Dobbiamo vaccinarci e poi tornare a curare le patologie di altro tipo.
In futuro cosa possiamo aspettarci?
Se ci verrà data la possibilità di tornare ad operare allora tornerà l’esigenza di sangue. Speriamo ci sarà anche una campagna di donazione per coinvolgere i cittadini a donare.
La campagna mediatica che ha preso piede durante il lockdown secondo lei è stato un buon esempio di campagna di comunicazione?
Ogni volta che qualcuno mette la faccia per sensibilizzare su temi che aiutino i pazienti, è positivo.
In certi casi non è un problema la possibilità che si crei un’eccedenza di donazioni di sangue?
Non mi risulta. I centri di raccolta e trasfusionali gestiscono le donazioni e sono in grado di fermare e rimandare le donazioni.
E per il vaccino?
E’ l’unica arma che abbiamo oggi per sconfiggere il Covid-19.