Fegato e reni donati da due pazienti di 85 e 87 anni e trapiantati, con successo, in altri ospedali veneti. È quanto avvenuto nei giorni scorsi nel distretto della Ulss 2 Marca Trevigiana di Asolo, in provincia di Treviso. Dieci sono stati i donatori di organi tra i presidi ospedalieri di Montebelluna e Castelfranco, un bilancio comunque positivo, per quel che riguarda il 2018, visto che si tratta di strutture che non hanno reparti di neurochirurgia.
Cifre che tuttavia, nonostante gli sforzi, non riescono a soddisfare le necessità del territorio, anche a livello nazionale: “Il numero di organi e di donatori è molto inferiore a quello di coloro che ne hanno bisogno per sopravvivere – spiega il direttore generale dell’Ulss2 Marca Trevigiana, Francesco Benazzi -, basti pensare che ancora oggi in Italia un paziente su dieci muore mentre è in lista di attesa per un trapianto che non riceverà”. Ma perché tutto questo?
Seppur nello stesso distretto si siano registrati 14 donatori multitessuto (11 in più dello scorso anno) e circa 200 di cornea, una persona su tre, a livello statistico, non dà il consenso alla donazione: spesso per scarsa informazione o per notizie false e pericolose lette su internet, ma anche per via della convinzione che l’età o la presenza di eventuali malattie possa precludere la possibilità di donare.
“Quanto avvenuto ad Asolo dimostra che questo gesto può essere compiuto da chiunque in qualsiasi momento – spiega a DonatoriH24 il dottor Andrea Bianchin, Coordinatore ospedaliero trapianti U.O. Anestesia e Rianimazione -. Ma non solo. Il fatto che la maggior parte dei donatori sia composta da persone avanti con l’età, vuol dire che il nostro sistema sanitario funziona in maniera invidiabile. L’unica cosa importante è dare il proprio consenso all’espianto, poi a valutare l’effettiva possibilità sarà il personale sanitario a seguito di esami clinici specifici”.
Bianchin affronta poi il problema della carenza di donatori e delle cause che la generano: “Ho timore del fatto che non ci sia la reale coscienza che, dietro a un eventuale rifiuto, ci sia una ripercussione immediata sulla vita di un paziente che sta aspettando l’organo in questione. Finché, fake news a parte, non si capisce che dire no all’espianto significa dire no a una terapia salvavita, non andremo da nessuna parte”.