“Il fatto non sussiste”. Con questa sentenza, il tribunale di Napoli assolve, dopo oltre vent’anni, Duilio Poggiolini, ex direttore generale del servizio farmaceutico nazionale del ministero della Sanità, e altri otto amministratori e dirigenti di aziende farmaceutiche, dall’accusa di aver provocato la malattia e, in alcuni casi, la morte di decine di pazienti a seguito dell’immissione sul mercato di farmaci emoderivati realizzati con sangue infetto. O, per meglio dire, di dubbia provenienza. I fatti si riferivano all’ipotesi di omicidio colposo plurimo per la morte di otto persone, l’ultima deceduta nel 2011.
Con la sentenza del tribunale di Napoli si chiude, nei fatti, quella che negli anni era diventata una caccia al colpevole che, per stessa ammissione di alcuni rappresentanti delle istituzioni, era stata erroneamente condotta nelle aule processuali, con l’obiettivo di puntare ai risarcimenti. Tutto tralasciando le vere vittime di quella che venne definita una “catastrofe sanitaria”, quelle persone che tra gli anni ’80 e ’90, a seguito di trasfusioni poco sicure, entrarono nel tunnel di Aids ed epatite C.
DonatoriH24, già in passato, aveva ricostruito i pasticci giudiziari in questione, anche raccontando la ricostruzione che, proprio di quegli anni, aveva fatto Michele De Lucia, giornalista e scrittore, nel suo libro “Sangue infetto”. Ciò su cui De Lucia ha puntato i fari, e ancor di più occorre farlo oggi, è stato il rischio per l’Italia di vedere spazzato via da una terrificante campagna diffamatoria, il patrimonio di esperienze e associazioni di volontariato che, oggi, regalano al nostro Paese circa tre milioni di donatori di sangue e plasma. Una campagna realizzata probabilmente non per secondi fini, ma solo generata dalla superficialità di troppe figure per le quali, invece, essere al di sopra delle parti sarebbe dovuto essere il dovere principale.