Quando ero ragazzina non avevo mai pensato che sarei potuta diventare donatrice di sangue, pensavo che occorresse essere una sorta di super uomini o super donne.
Poi il sangue servì a mia madre. Aveva bisogno di trasfusioni e io e mio fratello andammo a donare il nostro sangue. Pensai di aver fatto un bel gesto per nostra madre ma con il tempo scoprii che il mondo della donazione era più complesso di quello che credevo.
Nonostante avessimo prontamente donato, nostra madre ricevette il sangue dopo due mesi: erano gli anni ’70, precisamente il 1977 e la Puglia, spesso in carenza, importava quasi tutto il sangue dal nord Italia, in più era estate, un periodo difficile, quindi il sangue che sarebbe dovuto arrivare a mia madre veniva regolarmente dirottato per gli incidenti e le emergenze. Lei dovette quindi rimanere in ospedale per due mesi fino a che finalmente venne recuperato il sangue necessario, 0 negativo, e venne operata.
Ecco come ho capito una cosa importante: il fatto che io e mio fratello avessimo donato non era servito a nulla. O meglio, da allora è cresciuta in me la consapevolezza che noi due non eravamo sufficienti, dovevamo indurre anche altri a donare ed era necessario diffondere il bisogno e l’importanza della donazione del sangue a chiunque conoscessimo. Questo è ciò che faccio tuttora.
Da quel momento ho ragionato e lavorato su come convincere anche gli altri a donare. Finora ci sono riuscita con circa ventimila persone, io insieme a Fpds-Fidas, l’associazione di cui faccio parte, la Fidas di Bari. Sembrano molte, e in effetti lo sono, ma il lavoro non è finito qui, bisogna diffondere la cultura del dono e raggiungere quanti più donatori possibili.
*Rosita Orlandi è professoressa e presidente di FPDS-FIDAS Bari