L’Avis regionale dell’Emila Romagna è una macchina ben avviata, oleata e sempre a regime, come ha dimostrato nell’anno più duro della pandemia: 9 sedi provinciali, 318 sezioni comunali, 152.594 soci, 148.006 donatori effettivi, 60.484 donazioni di plasma, 190.809 donazioni di sangue intero (tutti i dati si riferiscono al 2020, in attesa dell’imminente chiusura del 2021).
“Il merito è dei nostri donatori — spiega il presidente Maurizio Pirazzoli, 58 anni, dirigente dal 2017 —. L’emergenza pandemica è stata una prova durissima, l’abbiamo superata grazie al gran cuore dei volontari, da Piacenza a Rimini”.
Il 70% della raccolta sangue in Emilia Romagna viene dall’Avis, un risultato straordinario, che non ha conosciuto gravi flessioni nell’ultimo periodo, merito di una presenza assai capillare nel territorio e di quella attitudine dei volontari di “tirarsi su la manica”, sia quando c’è da donare, sia quando c’è da faticare.
“Un’associazione che fa della tutela della salute pubblica — continua Pirazzoli — poteva andare in difficoltà mentre il mondo intorno affrontava proprio un’emergenza che mina la salute pubblica, come quella del Coronavirus, invece ciò non è avvenuto. Mi sono tornate in mente scene che ho vissuto durante il terremoto del 2012, oggi come allora la risposta degli attivisti è stata immediata e decisa. Soprattutto nelle settimane del lockdown, quando i mezzi di informazione, le istituzioni e le forze dell’ordine ripetevano il messaggio di restare a casa, nessuno dei donatori è rimasto a casa. Nonostante i dubbi e le incertezze del periodo, se era lecito o meno uscire di casa per andare a donare, i volontari non si sono tirati indietro, se fossero rimasti a casa lo avrei capito, non ci sarebbe stato biasimo, invece le raccolte ci sono state. Mi ha ricordato, per l’appunto, la solidarietà del 2012, quando la gente era in fila a donare anche se ballava la terra sotto ai lori piedi”.
Paradossalmente, ci sono più difficoltà adesso a donare che durante la fase più drammatica dell’emergenza, come ha detto anche il presidente nazionale Briola nella lunga e approfondita intervista rilasciata a Donatorih24.
Il perché lo spiega il presidente: “Sul sistema sangue c’è un problema grave da alcuni mesi e le istituzioni non sanno in che modo aiutarci, mancano medici e infermieri. I bandi Covid, più remunerativi rispetto a quelli del terzo settore, assorbono gran parte delle professionalità che, anche giustamente, preferiscono andare a guadagnare di più nella sanità pubblica. Altro elemento che aggrava la situazione, è che a tanti neo laureati si è aperta la possibilità di accedere alle scuole di specializzazione. Noi possiamo reclutare personale dopo la laurea, ma non chi entra nelle specializzazioni, nonostante ciò soltanto ultimamente, in Emilia Romagna, stanno saltando giornate di raccolta”.
Il Covid ha cambiato il concetto di socialità, una nuova sfida per i reclutatori di Avis Emilia Romagna. “Non c’è una festa o una sagra — chiosa Pirazzoli — in cui Avis non sia presente con i suoi volontari, il problema è che adesso saltano feste e sagre. Dobbiamo inventarci una nuova modalità di entrare in contatto con le persone, in un contesto in cui la socialità è cambiata. Social e nuove tecnologie possono venire in aiuto, anche se quando dico che ‘donare è più bello che ricevere’ bisogna avere l’interlocutore che ti guarda negli occhi per diffondere il messaggio nel migliore dei modi”.