In un mondo globalizzato e interconnesso, è sempre più importante affrontare le questioni legate alla raccolta sangue e alle trasfusioni in un’ottica internazionale. Basti pensare, per esempio, al tema del mercato del plasma, che su Donatorih24 proviamo ad affrontare sempre in ottica geopolitica, considerando la produzione di plasmaderivati salvavita e le modalità di approvvigionamento della materia prima questioni che si giocano su una scacchiera planetaria. Per capire più da vicino come Avis, l’associazioni di donatori più antica e numericamente importante d’Italia si posiziona in questa congiuntura storica, abbiamo Intervistato Alice Simonetti, giovanissima eppure già delegata alle politiche internazionali per l’esecutivo nazionale.
Alice Simonetti, spiegaci nel dettaglio la tua funzione nell’esecutivo nazionale di Avis, ovvero la delega alle politiche internazionali. Quanto è importante oggi, in un mondo estremamente interconnesso, pensare al dono del sangue con una mentalità dal respiro più ampio possibile?
In estrema sintesi si potrebbe dire che il mio ruolo è un po’ simile a quello di un “ministro degli esteri e della cooperazione internazionale”, che si occupa – da un lato – di rappresentare Avis nei rapporti con le istituzioni internazionali e con gli altri Paesi e – dall’altro lato – di lavorare a progetti di cooperazione nell’ambito dei quali le competenze dell’associazione e il modello italiano possano essere messi a disposizione di altre realtà nazionali, per una crescita comune.
La previsione di una delega specifica per lo svolgimento di queste attività risponde alla necessità oggettiva di considerare il nostro lavoro non soltanto in riferimento al contesto nazionale in cui lo stesso è naturalmente inserito, ma anche in doveroso collegamento con il contesto più ampio da cui veniamo comunque a essere influenzati. Ed è quindi bene agirvi da protagonisti.
In alcune nazioni del mondo è accettata l’idea del dono a pagamento, o comunque con un rimborso spese. Vi sono dialoghi tra associazioni nel mondo per discutere di questo tema e promulgare l’idea del dono etico così come avviene in Italia, ovvero anonimo, gratuito, volontario, associato e organizzato?
Occorre sin da subito precisare che, pur semplificando molto, in questo delicatissimo contesto possiamo distinguere tre livelli sostanziali: la donazione gratuita e dunque pienamente altruistica, quella che prevede un rimborso per le spese oggettive e documentabili sostenute dal donatore (seguendo un principio di stretta “neutralità finanziaria”, che non dovrebbe – come purtroppo invece accade – lasciare spazio a generiche forme di “compensazione”), e la dazione a pagamento (è importante utilizzare la terminologia corretta: se viene remunerata, non è donazione). Tutte le principali istituzioni internazionali (OMS, Unione Europea, Consiglio d’Europa, ISBT) indicano chiaramente la prima opzione come la più rispettosa dei diritti e della dignità umana e dunque la via maestra da seguire.
Ciò nonostante, sulla base delle forti pressioni di chi ritiene che – erroneamente – la donazione gratuita possa rappresentare un freno al raggiungimento dell’autosufficienza, questo principio tende ad essere messo in discussione, soprattutto in realtà – quali l’Unione Europea – dove si sta affrontando proprio ora la revisione della legislazione in materia di sangue, cellule e tessuti. La Commissione UE ha lanciato un’ampia fase di consultazione sull’attualità ed efficacia della normativa promulgata nel 2002 e si occuperà nei prossimi mesi di redigere una proposta di revisione delle direttive eurounitarie.
E Avis cosa pensa?
Avis ha preso parte attiva, di concerto con la Federazione Internazionale delle Organizzazioni dei Donatori di Sangue (Fiods), a questo dibattito, promuovendo – tra gli altri – un duplice messaggio: in primo luogo, quando si parla di donazione di sangue ed emocomponenti, i diritti dei donatori e dei pazienti debbono necessariamente essere tenuti in equale considerazione, e la donazione volontaria, anonima e gratuita rappresenta lo strumento più idoneo a raggiungere a tale scopo (oltre a garantire i massimi livelli di sicurezza e qualità del sangue donato); in secondo luogo, sostenere la necessità di introdurre meccanismi di “compensazione” e remunerazione del donatore per far fronte a presunte carenze dei sistemi attuali è un argomento parziale e fallace: come abbiamo sostenuto in ogni sede, infatti, il modello italiano dimostra con grande chiarezza che è possibile sviluppare sistemi trasfusionali che siano al tempo stesso etici, efficaci, efficienti e sostenibili. Asserire di dover prendere in considerazione diversi meccanismi di incentivi quando si ha di fronte una possibile e ben più valida alternativa, quindi, non è altro che una scusa.
Non si può, infine, non sottolineare il nostro impegno a favore di un maggiore riconoscimento del ruolo del volontariato organizzato nei sistemi nazionali: sotto questo profilo, il modello italiano fornisce un esempio positivo fondamentale di adeguata distribuzione dei compiti tra autorità sanitarie, professionisti e associazioni (le quali, grazie alla loro prossimità ai donatori, sono in grado di agire in maniera molto più efficace per la promozione del dono nonché per il coinvolgimento, fidelizzazione ed educazione dei donatori), che si unisce a una programmazione attenta e condivisa.
Questi, in sintesi, i messaggi che siamo impegnati a promuovere tanto sul fronte continentale quanto su quello internazionale di più ampio respiro.
Ne abbiamo parlato con interlocutori di massimo livello in un recente webinar della nostra serie “Be good” che si è svolto lo scorso 24 giugno e che fornisce una buona panoramica sulle sfide che ci attendono (https://www.avis.it/it/autosufficienza-il-modello-italia-e-la-situazione-europea).
Come viene affrontata negli altri paesi la questione del dono giovanile e del ricambio generazionale?
Possiamo dire che è ovunque percepita la questione dell’evoluzione demografica e del progressivo invecchiamento della popolazione, il quale implica sia un cambiamento negli utilizzi di sangue intero e farmaci emoderivati (più a favore di questi ultimi) sia la necessità di coinvolgere di più i giovani nel mondo della donazione.
Le strategie adottate sono molto diverse, ma essenzialmente incentrate sul potenziamento della comunicazione con messaggi e campagne dedicati.
A nostro avviso, tuttavia, occorre agire anche ad un livello superiore promuovendo un vero e proprio cambiamento culturale: come è possibile accedere al diritto di voto e prendere la patente a partire dai 18 anni, anche la prospettiva di diventare donatore dovrebbe entrare a far parte dei traguardi di cittadinanza attiva che i ragazzi possono scegliere di raggiungere con la maggiore età.
Su questo fronte il nostro impegno, tanto in casa quanto a livello sovranazionale, sarà declinato su diversi fronti, primi fra tutti quello della formazione tanto dei quadri associativi quanto dei giovani volontari.
A livello di impegno in associazione l’obiettivo cui tendere non è, poi, tanto quello del mero “ricambio” bensì di un “dialogo intergenerazionale”, che possa mettere a fattore comune le esperienze dei dirigenti di più lungo corso e le nuove prospettive, competenze e strategie dei nuovi volontari.
In che modo si può affrontare, in chiave di dialoghi internazionali, la questione del mercato del plasma che si poggia fortemente sugli Stati Uniti mettendo a rischio l’accesso ai plasmaderivati per molti sistemi sanitari mondiali?
Abbiamo già menzionato in precedenza alcune delle componenti (la crescente domanda di prodotto, i temi etici sottesi ad una corretta organizzazione della raccolta, il potenziale contributo delle associazioni di donatori) della riflessione in corso sulla necessità di imprimere un forte sviluppo alla donazione di plasma nei singoli sistemi nazionali riducendo la dipendenza da importazioni dall’estero.
Si tratta senza dubbio del tema più sentito in questa fase storica, nell’ambito del quale vengono necessariamente proposte possibili soluzioni multilivello: dall’esigenza di una attenta pianificazione dei fabbisogni e dei conseguenti obiettivi di programmazione della raccolta, alle sfide di ottimizzazione (e “dinamizzazione”) dei sistemi nazionali, all’implementazione delle possibilità di cooperazione e compensazione tra Paesi diversi, all’individuazione di regole minime comuni sul piano tecnico e sanitario.
La nostra attenzione è alta su tutti e ciascuno di questi punti, per far sì che si possa agire tempestivamente e in maniera efficace facendo sintesi tra i vari sforzi che il raggiungimento degli obiettivi di autosufficienza richiede, senza dimenticare che questo impegno richiede un progresso comune a tutte le aree del pianeta e ai sistemi sangue complessivamente considerati (che non prevedano inutili e dannose distinzioni quanto alla tipologia di sangue o emocomponenti donati).
Di nuovo, il modello italiano rappresenta un esempio vincente da questo unto di vista: dobbiamo continuare a lavorare insieme per continuare a migliorarci e per portare il nostro bagaglio di esperienze e competenze a sostegno del lavoro svolto anche al di là dei confini nazionali.
Come valuti la questione dell’autosufficienza ematica? Più un approccio protezionista o una necessità strategica per i Paesi, per mettersi al riparo da carenze di farmaci per i pazienti?
Come abbiamo già detto, è essenziale darsi gli obiettivi e l’organizzazione necessari a raggiungere l’autosufficienza in ciascun settore: del resto, l’obiettivo ultimo del nostro impegno è far sì che gli ammalati abbiano sempre a disposizione il sangue e i farmaci di cui hanno bisogno.
Seguendo questo faro, abbiamo la possibilità di far sì che il nostro lavoro permetta di raggiungere i traguardi necessari tanto a livello nazionale quanto a sostegno della comunità internazionale.
Si tratta, in ogni caso, di un lavoro che – per essere realmente sostenibile – deve essere principalmente sviluppato sul piano culturale e organizzativo, monitorando sì il mercato ma ponendosi al riparo dagli aspetti negativi e dall’instabilità delle sue dinamiche.
Concludiamo con i programmo di aiuto ai paesi meno organizzati in fatto di sistema trasfusionale? Qual è la situazione? Cosa possono fare i paesi occidentali e quali esperienze recenti meritano di essere raccontate?
C’è tanto da fare e le associazioni come Avis possono e vogliono essere in prima linea nel dare questo contributo alla crescita comune.
L’aspetto interessante, anche per quello che abbiamo detto in precedenza, è che tendiamo spesso ad allargare sin troppo lo sguardo, mentre ci sono diverse realtà anche a livello europeo che possono beneficiare della nostra attività di cooperazione allo sviluppo: sarà questa una delle principali linee di impegno per Avis nel prossimo quadriennio, tendere la mano tanto ai vicini di casa quanto ai colleghi più lontani.
In che modo?
La nostra missione principale è fare consulenza e formazione: negli ultimi anni abbiamo sviluppato sul campo dei moduli formativi che ci permettono di condividere le nostre competenze sui temi strategici collegati con la raccolta di sangue da donatori volontari, anonimi e non remunerati e con il cruciale sviluppo del volontariato organizzato in questo settore. Si tratta di corsi ed esperienze che intendiamo mettere a disposizione di qualunque Paese possa averne necessità.
Spesso non è semplice far mettere a frutto l’impegno profuso dai territori di destinazione nella rispettiva situazione politica o ordinamentale di riferimento, ma possiamo comunque raccontare esempi positivi come quello di Asdas, l’Associazione Donatori Altruisti di Sangue salvadoregna, nata nel 2016 proprio grazie ad un progetto di cooperazione di Avis e Fiods e che ha continuato a essere seguita da noi anche nei mesi più recenti, per consolidare il processo di crescita di una realtà in grado di rappresentare un faro per tutta la regione centramericana.
Oltre a questa tipologia di progetti di cooperazione, infine, è doveroso richiamare anche le iniziative di assistenza concreta (mediante, per esempio, la donazione di macchinari per la raccolta, poltrone e altri strumenti utili) che vengono posti in essere anche dalle singole sedi territoriali, che condividono fattivamente la mission di Avis nel diffondere quanto più possibile i messaggi e il sistema della donazione volontaria, anonima, gratuita, periodica, responsabile e associata.