Quanto il dono del sangue e del plasma sia importante in una comunità, al fine di poter fornire la materia biologica più importante di tutte a chi ne ha bisogno, lo dimostrano storie di donatori e pazienti che ascoltiamo ogni giorno, tra tipologie di bisogno estemporaneo, magari in seguito a incidenti stradali, e necessità ben più costanti nel tempo a causa di patologie rare, di cui moltissime persone ancora non conoscono i sintomi o l’impatto sui pazienti che ne soffrono. Una della patologie rare che più ha necessità di trasfusioni è la Teleangiectasia emorragica ereditaria o sindrome di Rendu Osler Weber, conosciuta anche con l’acronimo HHT (Hereditary Hemorrhagic Teleangiectasia), una displasia che colpisce il sistema vascolare che può generare sanguinamenti, o peggio, nel lungo periodo, problematiche ben più gravi e pericolose. Per conoscere meglio tale patologia, e raccontare come l’universo del dono del sangue contribuisce a migliorare le condizioni di vita dei pazienti, anche grazie alla collaborazione tra volontari, abbiamo intervistato Claudia Crocione, project e communication manager di HHT Onlus, l’associazione che lavora per aiutare pazienti, medici e famiglie ad affrontare le sfide che i pazienti dovranno affrontare in futuro.
Claudia, la Teleangiectasia emorragica ereditaria è una malattia rara, genetica, che interessa il sistema vascolare. Da paziente della malattia, ci racconta come influisce sulla vita quotidiana?
L’HHT è un compagno di vita piuttosto imprevedibile con manifestazioni molto diverse tra loro e raramente controllabili. Le più pericolose sicuramente sono le manifestazioni invisibili, ossia le malformazioni arterovenose di polmoni e cervello, spesso asintomatiche fin quando non decidono drammaticamente di manifestarsi in ictus, aneurismi e ascessi cerebrali. In questo caso la diagnosi precoce è determinante e un monitoraggio clinico può davvero salvare una vita. Diversa invece è la situazione di sanguinanti cronici quali epistassi e sanguinanti gastrointestinali. Queste hanno un impatto quotidiano sulla vita del paziente impedendo spesso attività ordinarie, riducendo le opportunità lavorative e impattando sulla vita sociale in modo significativo per molti affetti. La debolezza, astenia e dipendenza da ferro e trasfusioni rendono la vita spesso una sorta di bolla in cui, insieme alla forza, si perde l’entusiasmo di vivere.
È importante lavorare insieme…
Per questo investiamo tante risorse nell’obiettivo di abbattere il muro della solitudine e offrire una rete di supporto tra pari. Le nostre attività sono capillarmente organizzate per ogni età e in ogni regione affinché i pazienti abbiano una rete di aggregazione che aiuti a continuare a trovare la forza e la volontà di sorridere. Da qui il nostro motto: #rarimanonsoli
La necessità di trasfusioni capita spesso? È importate in tal senso la presenza immediata di scorte di sangue, e di conseguenza, che l’autosufficienza ematica nel paese sia garantita?
L’HHT è una patologia cronica che peggiora con l’età, dunque una considerevole quantità di pazienti devono convivere con il bisogno ricorrente di trasfusioni in tutta Italia. Una aggravante di questa situazione è che il paziente HHT può sviluppare una forma di rigetto del sangue che rende necessaria una disponibilità molto più specifica di riserva ematica non sempre disponibile. Ci troviamo spesso a fronteggiare emergenze di insufficienza ematica in varie regioni, come per esempio la Sardegna, e in periodi particolari dell’anno come le vacanze estive. Ci facciamo portatori di campagne di sensibilizzazione attraverso la nostra rete social e spesso corrono in aiuto donatori che ci seguono con affetto dopo aver scoperto di noi attraverso #myHHTvalentine. Anche il periodo del lockdown Covid 19 ha rappresentato un momento di criticità, non solo per i pazienti HHT e abbiamo voluto fare la nostra parte per sensibilizzare chiedendo ai nostri associati di uscire “solo per donare”.
Ci racconta come lavora e di cosa si occupa la HHT Onlus di cui lei è project e communication manager?
Ci teniamo sempre a specificare che la HHT Onlus rappresenta i bisogni di tutti coloro che sono coinvolti dall’HHT questo include ovviamente i pazienti, i famigliari ma anche i clinici che affrontano ogni giorno la sfida di dare assistenza e garantire servizi per i loro assistiti affetti da Rendu Osler Weber. Soltanto ponendosi in una posizione di ascolto di tutte queste categorie si riesce realmente ad incidere sulla qualità della vita di questi malati rari e dare risposte attente e incisive per i loro bisogni. Proprio con l’ascolto dei bisogni si costruisce un piano di azione di attività e progetti che rispondono a necessità reali e producono cambiamenti.
Con che raggio d’azione?
La HHT Onlus lavora a livello nazionale con una rete capillare di contatto con i pazienti ed i clinici su ogni specifico territorio. I nostri coordinatori regionali infatti intercettano i bisogni localmente e si fanno portavoce di esigenze che poi il direttivo della HHT Onlus trasforma in progettualità. Anche il rapporto locale con i clinici permette di potenziare i servizi e le competenze in una rete virtuosa di collaborazione che è proprio la Rete Italiana dei clinici HHT. Lavoriamo con una programmazione di breve, medio e lungo termine a seconda del progetto da realizzare o il bisogno da soddisfare. Alcuni obiettivi richiedono considerevoli quantità di tempo e una infinita perseveranza e pazienza ma la tenacia non ci manca e ogni anno vediamo crescere i risultati e la soddisfazione dei nostri associati.
A livello di strategie di sensibilizzazione e comunicazione vi è mai capitato di lavorare con le associazioni di donatori di sangue?
Nel 2015 una giovanissima paziente HHT, amica della nostra associazione, ci raccontò di aver chiesto al proprio fidanzato di donare il sangue come regalo di San Valentino. La ragazza aveva in mente sua nonna che dipendeva da trasfusioni a causa dell’HHT. Ci inviò anche una foto del ragazzo mentre donava e condividemmo questa storia nella nostra newsletter. Fu quello lo spunto per #myHHTvalentine, una campagna nata nella HHT Onlus in cui ogni paziente chiede ad amici, famigliari e colleghi di diventare donatore per San Valentino. Siamo alla quinta edizione e ormai la campagna oltre che virale è diventata globale.
Davvero una splendida idea.
Sono centinaia le persone che si sono affacciate al mondo della donazione grazie a questa iniziativa e i nostri pazienti hanno scoperto, con un certo stupore, che moltissime persone non possono donare. Capire quante limitazioni ci sono per donare sangue ha fatto crescere la consapevolezza del nostro ruolo nel promuovere il più possibile la cultura del dono. Il nostro bisogno di sangue produce gratitudine ma la nostra conoscenza approfondita del mondo della donazione e tutte le difficoltà connesse ad essa produce un attivismo inarrestabile nel trovare nuovi donatori tra i nostri cari. Collaboriamo anche in tantissime regioni con le Associazioni di Donatori di Sangue portando ai loro convegni la nostra testimonianza di pazienti e ospitandoli nelle nostre giornate informative #myHHTvalentine. Ormai possiamo dire che le collaborazioni nate con queste associazioni sono parte integrante delle nostre attività annuali e ci regalano grandi soddisfazioni e profonde amicizie.
È possibile trovare a breve una cura definitiva e specifica per la Teleangiectasia emorragica ereditaria o bisognerà accontentarsi dei trattamenti attuali?
Trovare una cura è tra le nostre priorità che comunque rientra tra gli obiettivi di lungo termine. Per questo siamo impegnati in collaborazioni nazionali, europee ed internazionali per stimolare la ricerca. La crescita di interesse nazionale ed internazionale attorno all’HHT unitamente al lavoro dei pazienti esperti supporta sempre di più l’idea che una cura si troverà. Ma nel frattempo occorre impegnarsi sulla diagnosi precoce, la formazione dei pazienti nel management della patologia e la gestione a livello territoriale dell’offerta terapeutica e dei casi di emergenza. Per cui i fronti aperti sono tanti e abbiamo la fortuna di avere una squadra di volontari preparati e motivati per mandare avanti tutto il lavoro che c’è da fare.
Su Donatorih24 raccontiamo il sistema trasfusionale e il dono del sangue mettendo sempre in primissimo piano il legame atavico, il fil rouge potentissimo che unisce donatore e paziente. Da paziente esperto, cosa pensa di questo legame? È importante che i pazienti siano coinvolti nei processi decisionali, sul piano clinico e organizzativo?
Lo slogan “nothing about us without us” che spopola nelle associazioni di pazienti non è una frase retorica. Tutte le decisioni che ci riguardano devono necessariamente contemplare anche il nostro punto di vista. Il paziente esperto è colui che è formato per conoscere a 360° tanti aspetti della clinica della propria patologia e anche il mondo della ricerca. Questo lo rende in grado di rappresentare con competenza una comunità i pazienti ai tavoli decisionali portando le priorità e il punto di vista di questo gruppo di interesse. Le informazioni che condivide diventano parte essenziale del successo terapeutico in quanto garantisce da subito che gli obiettivi siano realmente in linea con le esigenze e gli sforzi mirati su progettualità che produrranno un impatto reale per la vita degli interessati. Ricordiamo infine che tutti i progetti di ricerca che includono la prospettiva del paziente hanno maggiore probabilità di adesione dei pazienti ai protocolli perché sono pianificati proprio con i loro bisogni in primo piano. Una collaborazione vincente dunque sia per i pazienti che per i ricercatori che per gli investitori. Ormai sono anni che si va in questa direzione con successo a dimostrazione che tutti i portatori di interesse sono legati a doppia mandata e solo uno scambio costruttivo e collaborativo può spingerci a migliorare più velocemente.