La talassemia o beta talassemia è una malattia ereditaria del sangue che causa “anemia” cioè una riduzione dei valori di emoglobina nel sangue. Per curare la talassemia il paziente è obbligato a sottoporsi a regolari trasfusioni di sangue dalle quali dipende la sua vita.
Andrea Tetto è presidente di Amami, l’associazione malati anemia mediterranea italiana. Gli abbiamo chiesto come i pazienti hanno vissuto questo periodo legato all’epidemia di Sars-CoV-2.
Com’è stato per i pazienti vedere in azione le associazioni dei donatori di sangue che hanno garantito le terapie salvavita a tutti nonostante le difficoltà legate al Covid-19?
Le organizzazioni di donatori hanno saputo reggere le difficoltà legate all’epidemia. Se non ci fosse stato lo slancio dei donatori di sangue a impegnarsi nonostante le difficoltà, i talassemici non avrebbero potuto continuare a sottoporsi alle terapie salvavita. Senza l’impegno dei donatori io non potrei condurre la vita normale che conduco e non avrei le forze necessarie nemmeno per fare una rampa di scale. Il lavoro dei volontari, anche di quelli che non possono donare, ma che si occupano di sensibilizzazione, è enorme e straordinario.
Il periodo Covid-19 poteva fare molti più danni…
Nel periodo Covid-19 -dopo l’appello delle istituzioni avvenuto a marzo, e dopo la circolare del Centro nazionale sangue che garantiva che non c’erano evidenze di contagio attraverso la donazione- le donazioni erano in surplus, e anche nel sud Italia c’è stata un’ottima disponibilità di sangue.
Inoltre il sistema è riuscito a coordinarsi. Il Cns diffondeva i dati, e le indicazioni per rafforzare le misure di sicurezza e i centri trasfusionali e le associazioni in tutto il Paese modificavano completamente il metodo di lavoro organizzando le donazioni in base alla necessità. Lo sforzo delle associazioni nel migliorare l’organizzazione è stato grande. La prenotazione è diventata una nuova abitudine introdotta durante il Covid-19, un cambiamento di prassi che prima non si riusciva a compiere. Direi che con il Covid-19, da un’esperienza negativa che abbiamo vissuto, abbiamo tratto una migliore programmazione di tutto il sistema, il che ha significato una vera prova di forza.
Il talassemico deve rivolgersi ogni due settimane circa ad una struttura ospedaliera per la trasfusione della sacca di sangue. Le sale ospedaliere sono state ritenute per un certo periodo ad alto rischio contagio. Come hanno vissuto questo aspetto della terapia i pazienti?
C’è stato un periodo iniziale in cui i pazienti affetti da talassemia, e perciò immunodepressi, avevano paura di andare in ospedale. Poiché la trasfusione è indispensabile, si recavano lo stesso per le terapie salvavita provando un sentimento di smarrimento e ansia.
Questo sentimento è stato predominante fino a quando sono state adottate dai centri di cura e dai centri trasfusionali le misure precauzionali per tutelare tutti. Le misure adottate hanno fatto la differenza: le mascherine, i percorsi separati, il processo di triage con la misurazione della febbre, la somministrazione dei questionari, lo screening iniziale. Tutto questo ha ridotto notevolmente la probabilità di contagio all’interno delle strutture ospedaliere e anche la paura.
E’ stata presa qualche altra misura di sicurezza che vi ha aiutato a gestire le cure negli ospedali?
La situazione è migliorata quando è stato modificato in alcuni centri il procedimento di accesso alle terapie salvavita. Alcuni ospedali hanno ridotto il tempo di permanenza all’interno dell’ambiente sanitario, che prima del Covid-19 poteva prolungarsi ad almeno una mattinata ogni due settimane. Quindi prima il paziente si sottopone a prelievo, poi torna nella propria abitazione dove riceve il referto. Su prenotazione torna per effettuare la trasfusione in un secondo momento.
Quali sono le tutele che avete ricevuto da parte del governo in questo ultimo periodo?
I pazienti talassemici hanno accusato, molto più di un cittadino in salute, tutte le problematiche legate al Covid-19. Le misure precauzionali per evitare l’epidemia che sono state diffuse dal Cns e applicate nei centri ospedalieri ci hanno offerto delle condizioni accettabili per cui ci siamo sentiti tutelati. Questo ha smorzato una parte delle ansie generate dal fattore immunodepressione, che è uno degli effetti collaterali di avere una patologia.
Si poteva fare qualcosa per migliorare la situazione?
La terapia trasfusionale salvavita non è stata interrotta -quindi grazie ai donatori di sangue abbiamo potuto continuare a curarci. E’ stato sospeso tutto il resto, cioè le visite ambulatoriali e diagnostiche. Un paziente affetto da talassemia ne fa normalmente tante perché ha una patologia primaria che ne causa anche tante concomitanti. E’ mancato quindi il monitoraggio della patologia principale e delle patologie collaterali.
E ora?
Ora ci vorranno anni prima che riusciremo a smaltire tutte le visite ambulatoriali che sono rimaste in sospeso. Ancora non sappiamo quando riprenderanno le visite che stiamo attendendo. A parte questo secondo me tutto quello che si poteva fare sulla carta è stato fatto.
Un altro miglioramento potrebbe consistere nell’ampliare la consulenza offerta ai pazienti attraverso il monitoraggio online per evitare gli accessi in ospedale e gli assembramenti. Sarebbe utile inoltre che venissero spiegati online gli esami del sangue. Questo eviterebbe il generarsi di confusione nel paziente, che non sempre ha le competenze giuste per comprendere i documenti sanitari.
E nel caso di un ritorno dell’epidemia a settembre, esiste un piano per rendere le terapie e le visite più sicure e accessibili?
Sicuramente da quello che abbiamo vissuto dovremmo trarre insegnamenti per il futuro, e nel caso arrivasse una seconda ondata bisogna essere preparati e andare a correggere tutti gli errori che sono stati fatti. I centri e gli ospedali si stanno muovendo in questo senso e lo stiamo già notando. Stanno considerando, in caso di seconda ondata di epidemia, di non interrompere le cure ai pazienti e di creare delle seconde entrate per evitare l’incontro con i pazienti con infezione virale da Covid-19.
E le cure domiciliari? Non sarebbe possibile curarsi a casa invece che dover ogni volta accedere alle strutture sanitarie ponendosi a rischio contagio?
Forse in futuro, ma per ora non sarebbe possibile con facilità trasportare la terapia salvavita a casa.
Mentre le regioni sappiamo già che stanno rinforzando la medicina territoriale, un paziente affetto da talassemia non può rivolgersi agli ospedali vicino casa in quanto non sono preparati per comprendere la patologia e valutare il tipo di terapia necessaria di volta in volta. Noi per forza dobbiamo rivolgerci ai reparti specialistici degli ospedali che ci hanno in cura e che non sono sul nostro territorio.
Per fare un esempio, i talassemici hanno il problema collaterale di accumulare ferro nel sangue, quindi nei valori delle analisi il ferro risulta altissimo. Quindi, oltre alla terapia della trasfusione di sangue, è necessario praticare anche una terapia ferrochelante che non tutti i medici hanno le competenze per seguire.
Amami è nata nel 1997, da circa 23 anni coinvolge i pazienti affetti da talassemia in Piemonte. Nell’ultimo periodo come si è svolta la vita associativa nel gruppo?
Amami è un’associazione che si è formata dai pazienti talassemici. E’ nata per rendere questo tipo di patologia compatibile con la vita normale e per tutelare i pazienti. In questi anni ci siamo impegnati nelle scuole, ci teniamo aggiornati riguardo alle terapie di cura e ai molti aspetti della patologia. C’è chi si occupa della parte medica, e chi si interessa alla parte non medica. Ora abbiamo dovuto sospendere tutti gli incontri e ci siamo trovati online.
L’associazione vuole essere un punto di riferimento per tutti coloro che soffrono di talassemia o beta talassemia. Nel periodo caratterizzato dall’epidemia di Covid-19, quando c’è stato un aumento esponenziale di fake news, l’associazione ha filtrato le informazioni sul tema inoltrando ai soci solo quelle attendibili e verificate. Ultimamente ci siamo riuniti per discutere le criticità relative alle norme di sicurezza riscontrate nelle strutture ospedaliere.
Proviamo a lasciarci alle spalle il periodo Covid-19 e guardiamo al futuro. L’arrivo dell’estate non è solo un momento di spensieratezza per i pazienti. La donazione di sangue potrebbe avere un’inflessione verso il basso causata dalle partenze per le vacanze. Questo momento che cosa rappresenta per i pazienti talassemici?
L’arrivo dell’estate per i pazienti talassemici amplifica le differenze tra nord e sud nell’ambito della organizzazione nella raccolta sangue. Nonostante il grande impegno delle associazioni nel garantire l’autosufficienza per ciò che riguarda le terapie salvavita, nell’associazione i momenti di carenza sangue li proviamo sulla nostra pelle e i pazienti ce li segnalano.
A volte ad esempio capita in Puglia, Sicilia e Sardegna, che i pazienti tornino nella propria abitazione senza essere stati trasfusi perché la sacca è stata data a qualcuno che aveva maggiore urgenza di cura. La Sardegna ha tanti donatori, ma ha anche tanti pazienti talassemici. Ci sono anche tanti portatori sani di talassemia, quindi la regione è sempre in difficoltà per la raccolta. Anche la Puglia, purtroppo, è spesso in carenza.