In un momento in cui l’attenzione mediatica sulla salute è totalmente assorbita dal Coronavirus, è importante non dimenticarsi del destino di molti altri pazienti che devono fronteggiare malattie del sangue pericolose e con altra genesi, patologie che il virus potrebbe addirittura complicare. Patrizia Pedotti di Genova, 48 anni, soffre per esempio dalla sindrome di Leiden, che causa un’estrema coagulazione del sangue, e ha raccontato a Donatorih24 cosa vuol dire crescere con una malattia orfana di diagnosi, trovarsi a dover affrontare le normali difficoltà della vita, e poi fronteggiare quelle legate all’emergenza del Coronavirus. Una storia clinica, quella di Patrizia, sempre più complicata con l’arrivo della menopausa, che vanta tuttavia anche successi importanti, come due gravidanze senza complicazioni.
Patrizia, in che modo il Coronavirus ha complicato la tua quotidianità?
Con l’epidemia di Coronavirus, alcuni si lamentano di non poter fare shopping. Io so di non poter andare all’ospedale, perché a causa della mia malattia sono più debole e esposta al virus. Perciò ho rinviato tutte le visite di controllo che dovevo effettuare.
È stato difficile, nel tuo percorso da paziente, ottenere una diagnosi certa?
Prima che mi fosse diagnosticata la mutazione genetica, quando dicevo al medico di provare una costante stanchezza e di sentire un forte malessere, oppure se stavo male, venivo regolarmente indicata come depressa e ipocondriaca e credevano io avessi delle crisi di panico. Per molti anni sono stata ingiustamente accusata di essere una persona che si lamenta con facilità. I medici non mi credevano fino al 2008, quando mio fratello ha avuto un’embolia polmonare avvenuta in seguito ad una banale influenza. Quell’anno ho eseguito il test per il fattore V, che indica la presenza della sindrome di Leiden, detta anche trombofilia ereditaria.
Che cosa significa vivere con questo tipo di mutazione genetica, scoperta solo nel 1994 dal professor Bertina?
Ho vissuto per 36 anni senza conoscere la causa dei miei problemi. Da bambina non crescevo mai, avevo fastidi alle ossa, il mio organismo rigettava i vaccini. Durante il viaggio di nozze a New York nel ’95 sono svenuta in aereo e finita al pronto soccorso americano. Ho avuto quattro trombosi, e a causa di una varicella ho rischiato la vita.
Il mio corpo, a causa dell’ipercoagulazione del sangue e della produzione in eccesso di vitamina K, reagisce in modo anomalo ad alcuni tipi di farmaci e malattie comuni. La mia pelle è estremamente elastica e cicatrizza con un’estrema velocità. Notavo questo tipo di reazione del mio corpo anche da ragazza, ma i medici non mi credevano”.
Il sistema riproduttivo femminile è la parte dell’organismo che più subisce i rovesci della malattia. Qual è stata la tua esperienza a riguardo?
Quando ho preso la pillola anticoncezionale ho avuto la prima trombosi. E nella metà del 2018 mi hanno diagnosticato una ciste ovarica. Nonostante io provassi dei forti dolori i medici hanno detto che l’intervento non era urgente. Ma da una successiva lastra effettuata privatamente, mi sono resa conto che la ciste era raddoppiata di dimensioni in tempo record, forse proprio a causa della sindrome di Leiden. Quando sono andata al pronto soccorso dell’ospedale San Martino di Genova hanno messo la mia cartella nelle mani di alcuni laureati specializzandi che non conoscevano la mia situazione.
I medici non sono riusciti a capire la gravità del mio caso. Poi, grazie all’ematologo privato che mi ha in cura, sono andata all’ospedale Evangelico di Voltri, dove mi hanno operata d’urgenza. All’ospedale, il team di professionisti si è riunito, e dopo le verifiche e le analisi mi hanno spiegato che tutto l’apparato riproduttivo e una parte di quello intestinale secondo loro era compromesso.
Durante l’operazione, il team di medici ha asportato ovaie, tube e una parte dell’intestino tenue. L’intervento si è rivelato un gigantesco errore perché pochi giorni dopo sono stata nuovamente ricoverata d’urgenza, e sono dovuti intervenire nuovamente i chirurghi per ricostruire una parte dell’intestino con una plastica addominale. Ora, oltre ad avere la sindrome di Leiden, devo sopportare le conseguenze dei numerosi errori commessi dai medici, con i quali sono in causa.
Che cosa tornerai a fare nel momento in cui finirà la quarantena a cui sei obbligata a causa dell’epidemia e quali sono le nuove preoccupazioni che ti aspettano?
Tornerò a incontrare i miei figli che non vedo da febbraio e che mi mancano moltissimo. Ora loro vivono con la nonna paterna e anziana. Hanno entrambe la stessa mia malattia, ma ancora non hanno riconosciuto la certificazione della malattia rara a tutti e due. Dovrò combattere per quello.
Tornerò a lavorare come impiegata a Genova e potrò fare le passeggiate che mi garantiscono la fluidificazione del sangue. Ora sono in cassa integrazione, non mi è stata riconosciuta l’invalidità totale dall’Inps e neanche un assegno per la ridotta capacità lavorativa. Attualmente, oltre all’ansia che mi causa la mia condizione di salute, mi preoccupano i problemi economici.