Dai donatori di sangue di Casalpusterlengo, a 20 chilometri da Lodi, in Lombardia, il plasma per salvare le vite dei malati affetti da coronavirus. Il paese, situato a quattro chilometri da Codogno, prima zona a diventare “rossa” in Italia, è ora potenzialmente un grande serbatoio di pazienti guariti che doneranno gli anticorpi come cura nella terapia contro il Covid-19. L’autorizzazione all’avvio della sperimentazione arrivata dal ministero della Salute venerdì 27 marzo, ha dato il via all’applicazione del metodo, che in Cina e negli Stati Uniti è stato adottato come terapia d’urto contro la pandemia.
Per applicare la cura oggi, è in atto la corsa per trovare il maggior numero di persone guarite da Covid-19 che possano garantire di essere in un buono stato di salute. I donatori di sangue, sono i protagonisti indiscussi di questo momento, perché grazie ai frequenti controlli effettuati regolarmente possono dimostrare la sicurezza della donazione.
Alessia Camiolo, presidente della sezione Avis di Casalpusterlengo, spiega a che punto è l’associazione nella ricerca dei donatori guariti da Covid-19 che siano disponibili a partecipare al progetto.
“Ad oggi i donatori selezionati della nostra associazione, che potranno partecipare al progetto in corso di applicazione a Lodi, sono sei. Siamo orgogliosi dei nostri soci, perché da quando si è sparsa la voce, hanno voluto partecipare in molti alla terapia. I donatori di sangue e plasma sono stati i primi ad essere presi in considerazione per il progetto. Inoltre la probabilità di trovare pazienti, che avessero contratto il virus e poi l’avessero superato, nelle nostre zone era alta.
I responsabili della sperimentazione hanno subito pensato ai donatori di sangue ed hanno incaricato per contattarli i presidenti e i direttori sanitari delle associazioni che sono attive in alcuni paesi del territorio. Casalpusterlengo e Codogno hanno iniziato in questi giorni la selezione. La settimana scorsa altri quattro comuni più piccoli l’hanno cominciata: Castiglione D’Adda, Terranova dei Passerini, Castelgerundio e Bertonico”.
Che cosa sta facendo oggi l’associazione per supportare l’attuazione del progetto di terapia che potrebbe salvare molte vite in Lombardia?
“In un momento in cui il personale sanitario è fortemente sotto pressione, l’associazione aiuta i vari attori che conducono il progetto, con i quali si è creata un’ottima collaborazione. Sono coinvolti l’ospedale di Lodi, quello di Codogno e il San Matteo di Pavia. Contattiamo i nostri donatori, e chiediamo loro se sono disponibili a fare lo screening con il tampone all’ospedale di Codogno.
Il primo passo consiste nel controllare se sono attualmente positivi o asintomatici, oppure se sono guariti. Oltre al tampone, che ne garantisce la guarigione, viene effettuato un prelievo di sangue che indica se hanno sviluppato gli anticorpi capaci di combattere e vincere la lotta contro il virus. I campioni di sangue vengono analizzati nell’ospedale San Matteo di Pavia, capofila della sperimentazioni. Il risultato del test arriva al direttore sanitario dell’associazione di donatori di sangue. Le persone selezionate come idonee, perché in piena salute, sono successivamente contattate per donare il plasma nell’ospedale di Lodi”.
Come hanno reagito i donatori di sangue alla chiamata e che cosa ha significato per la vostra associazione?
“Ovviamente non è stato facile telefonare ai donatori di sangue. Gli abitanti di Castiglione D’Adda, paese dove risiedono alcuni dei nostri donatori, sono 4600, il paese è piccolo e i morti sono stati circa 70 dall’inizio dell’epidemia. Questo numero di deceduti normalmente lo abbiamo in un anno. La telefonata al donatore è un momento molto delicato. I donatori ci chiedono: “Ma devo andare all’ospedale di Codogno per fare la donazione?” La risposta è sì, i donatori devono tornare all’ospedale di Codogno, ma entrando per un altro ingresso, non quello principale.
Nella telefonata ci hanno raccontato quello che è capitato alla loro famiglia durante il periodo di epidemia. Uno ti dice di aver perso il genitore, un altro ti dice di aver perso un parente, un cugino. Sono turbati dalla situazione, ma si sono resi disponibili comunque, perché capiscono l’importanza di questo studio. Non ho mai dato per scontata l’adesione al progetto di persone così provate psicologicamente. I donatori si rendono conto dell’importanza del gesto e vogliono donare. Con la nostra associazione c’è un grande rapporto di fiducia che abbiamo creato attraverso la telefonata che regolarmente ricevono”.
Qual è la situazione di Casalpusterlengo rispetto alla diffusione dell’epidemia oggi?
“In strada non c’è nessuno. In un giorno, dall’inizio dell’epidemia, nella nostra via principale, abbiamo contato il passaggio di 24 ambulanze, una dietro l’altra. A noi continuano ad arrivare sms che indicano i nomi delle persone decedute. Tutti abbiamo avuto il parente o il conoscente che sono stati ricoverati e poi sono morti in ospedale. Parenti e familiari che non è stato possibile salutare. Noi ce ne rendiamo conto di più di quello che sta accadendo. Nel territorio le restrizioni imposte dal governo le rispettiamo, facciamo tutto quello che ci viene detto, perchè abbiamo visto quale catastrofe può causare il non rispettare rigidamente le norme”.