Maggiore attuazione dell’accordo Stato-Regioni sulle Mec (Malattie emorragiche congenite) e consapevolezza sulla gestione delle emergenze-urgenze, così da garantire ai pazienti assistenza e servizi efficaci. Sono solo alcuni degli obiettivi che FedEmo (la Federazione delle Associazioni Emofilici), insieme ai rappresentanti dell’Iss (Istituto superiore di sanità) e dell’Aice (l’Associazione italiana dei centri di emofilia), ha annunciato nel corso del convegno “Emofilia: malattia più unica che rara”.
L’incontro, che si è tenuto a Roma lunedì 15 aprile nella Sala delle Statue di Palazzo Rospigliosi, è servito prima di tutto per celebrare la XV Giornata mondiale dell’Emofilia e poi per fare un punto su quelle che, ad oggi, sono le linee guida che nel nostro Paese si stanno più o meno seguendo a tutela di coloro che sono colpiti da questa patologia. Dati dell’Iss, infatti, indicano in 10.434 i pazienti italiani affetti da malattie emorragiche congenite, di cui 6.960 maschi e 3.474 femmine: di questi, circa 4mila sono affetti da emofilia di tipo A (la più comune, dovuta a una carenza del fattore VIII della coagulazione e si registra in un caso ogni 10mila maschi), e quasi 900 da quella di tipo B (definita anche “malattia di Christmas”, dal nome della famiglia nella quale è stata individuata per la prima volta, che è provocata dalla carenza del fattore IX della coagulazione e viene diagnosticata in un caso ogni 30mila maschi). Numeri che parlano di una comunità che, tuttavia, lamenta ancora ritardi e poca attenzione in ogni fase, dalla gestione delle emergenze al pronto soccorso, passando per il processo di diagnosi e cura. Ma non solo.
Prima dell’apertura dei lavori, la presidente di FedEmo, Cristina Cassone, ha voluto inviare una richiesta precisa alla politica italiana: “Bisogna istituire una commissione parlamentare di inchiesta che faccia luce sulle morti da sangue infetto che non sono cessate e seminano ancora decessi”. Un chiaro riferimento alla sentenza di assoluzione con cui, a fine marzo, il tribunale di Napoli si era pronunciato nei confronti di Duilio Poggiolini, ex direttore generale del servizio farmaceutico nazionale del ministero della Sanità, e altri otto amministratori e dirigenti di aziende farmaceutiche, accusati di aver provocato la malattia e, in alcuni casi, la morte di decine di pazienti a seguito dell’immissione sul mercato di farmaci emoderivati realizzati con sangue infetto. O, per meglio dire, di dubbia provenienza.
Durante il convegno, ed è stato ribadito da più voci, dal 2013 (anno in cui è stato sottoscritto) a oggi, l’Accordo tra Stato e Regioni, che dovrebbe definire il percorso di assistenza sanitaria ai pazienti affetti da malattie emorragiche congenite (Mec), è stato “recepito” solo da 14 regioni e, tra queste, soltanto 4 possono essere definite “virtuose” in merito all’attuazione concreta delle linee guida previste: si tratta di Emilia Romagna (che è in una fase molto più avanzata), Liguria, Lazio (dove è stata avviata una fase di riordino dei centri di emofilia regionali) e Piemonte.
Come ha spiegato Cristina Cassone, presidente di FedEmo (che riunisce tutte le 32 associazioni locali che in Italia rappresentano oltre 9000 persone affette da emofilia e altre malattie emorragiche congenite), “la mancata attuazione dell’accordo sulle Mec provoca disagi e calo degli standard di assistenza per i pazienti, che troppo spesso si trovano a dover fare i conti con carenza di prestazioni adeguate”. Il riferimento è alla gestione delle urgenze nei pronto soccorso di varie zone del Paese e le testimonianze di pazienti o parenti che si sono scontrati con questo muro sono state particolarmente significative.
“Quando ho portato mio figlio all’ospedale Gaslini (struttura pediatrica di Genova che, insieme al Meyer di Firenze e al Bambino Gesù di Roma, rappresentano delle eccellenze italiane, ndr) per la comparsa di uno strano livido – racconta Anna Fragomeno – mi sono sentita rispondere che ero troppo ansiosa e sono stata rispedita a casa. Solo alla comparsa del secondo ematoma, grazie alla nostra pediatra, sono stata messa in contatto con il direttore di Ematologia dell’ospedale che ha capito la situazione e preso subito in cura mio figlio”. Ma non è l’unico caso. Luigi Ambroso, veneto ed emofilico, racconta: “Quando mi sono fratturato l’anca e mi sono presentato al pronto soccorso ho comunicato la patologia da cui ero e sono affetto e mi sono sentito rispondere se ne ero sicuro e quando l’avessi contratta. Poter intervenire sulle urgenze, soprattutto per malati come noi, è fondamentale”.
Ma allora perché avviene tutto questo? Secondo Paola Boldrini, senatrice Pd e membro della commissione Igiene e Sanità, “occorre maggiore formazione dei medici, da quelli di base agli specialisti. La ricerca va avanti e non possiamo permetterci di dover ancora colmare lacune di preparazione così ampie. In più, serve una totale riorganizzazione del percorso di sostegno socio-sanitario per i pazienti emofilici. Non è possibile che, in una struttura pubblica, non ci sia uno specialista in grado di riconoscere una simile patologia”. La soluzione, sempre secondo la senatrice, potrebbe essere quella di “applicare i Lea (Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria, ndr) in ogni Regione e istituire delle commissioni che vigilino sulla loro effettiva efficienza”.
Quegli stessi Lea che, tra l’altro, sono contenuti sempre in quell’Accordo che Stato e Regioni hanno sottoscritto ormai sei anni fa e che dovrebbe sancire, tra le altre cose, la formulazione della diagnosi, il processo di cura, la gestione delle emorragie e la prevenzione delle complicanze.
Da qui l’importanza del Registro delle coagulopatie congenite, istituito all’interno dell’Iss dal Dpcm (Decreto del presidente del Consiglio dei Ministri) del 3 marzo 2017, lo strumento che serve a rilevare informazioni utili sullo stato di salute e relative ai trattamenti di pazienti affetti da una determinata patologia: “Il Registro è un vantaggio non solo per i pazienti, ma per gli stessi medici – spiega Emily Oliovecchio, responsabile del Registro per Aice -. Serve ad avere un quadro più completo di ogni singola situazione, visto che parliamo di assistenza domiciliare, inquadrando anche i tipi di terapia in corso e le eventuali emergenze emorragiche. Un vero e proprio strumento a livello nazionale per una sempre più corretta applicazione dei farmaci relativi“.
I dati presenti sul Registro parlano di 48 centri affiliati all’Associazione italiana dei centri di emofilia e sparsi sull’intero territorio nazionale: “L’urgenza principale è far sì che, agli stessi centri, venga assicurato il supporto da parte delle Regioni – spiega la presidente di Aice, Elena Santagostino -. Ecco perché, anche sotto questo aspetto, è fondamentale rendere pienamente operativo l’Accordo sulle Mec, accompagnato dall’applicazione di linee guida efficaci, trasparenti e solide, così da rafforzare il rapporto di fiducia tra medico e paziente”.
Tutto nel nome di quella “attuazione”, di quella “concretezza di azioni” tanto richiesta da quei presenti al convegno che, con l’emofilia e tutti i suoi effetti, convivono ogni giorno.