Stati Uniti, scoperti in California i geni
che farebbero regredire alcuni tumori

2018-08-01T10:38:01+02:00 1 Agosto 2018|Mondo|

Scoperte le mutazioni genetiche che permetterebbero di predire l’andamento dei tumori mieloidi nell’uomo.  A condurre la ricerca, che risolverebbe un mistero medico trentennale, sono stati i medici dell’Università della California (UCSF) di San Francisco e del St. Jude Children’s Research Hospital nel Tennessee, che hanno scoperto il comportamento di dei geni SAMD9 and SAMD9L (presenti nel cromosoma 7).

Lo studio, basato sull’analisi del Dna di sedici fratelli in cinque famiglie diverse, ha riscontrato che alcuni bambini che presentavano queste mutazioni riuscivano a “curarsi” spontaneamente senza necessità di trattamento, evitando quindi trapianti di midollo osseo invasivi e pericolosi.

L’inizio dello studio risale a più di trent’anni fa, quando un oncologo dell’UCSF Kevin Shannon, era ancora un giovane ricercatore nel laboratorio del genetista Yuet Wai Kan. Shannon e i suoi colleghi incontrarono diverse famiglie in cui più bambini avrebbero potuto sviluppare la perdita dei leucociti (detta sindrome mielodisplasica) e una forma di leucemia mieloide acuta (Lma), un tumore del sangue spesso mortale. I suoi studi su quei bambini portarono alla scoperta dell’ereditarietà della patologie: nel 1989, infatti, utilizzando tecniche di ultima generazione, Shannon riuscì a restringere la regione del cromosoma 7 responsabile delle patologie riscontrate, identificando la sindrome di monosomia familiare 7 .

L’attuale studio pubblicato  invece sulla rivista biomedica JCI Insight, è stato guidato dalla ricercatrice Jasmine Wong, PhD, che, approfondendo il documento di Shannon, ha deciso di andare avanti nella ricerca.

«Adesso che sappiamo che questa malattia in alcuni casi può regredire spontaneamente dobbiamo concentrarci sulla definizione delle linee guida – ha spiegato Jeffrey Klco, ricercatore  del team del St Jude Hospital – In questo modo potremo richiedere il trapianto di midollo osseo solo per quei pazienti che ne hanno davvero necessità». In ogni caso, fanno sapere gli studiosi,  la ricerca deve andare avanti, anche perché nonostante la scoperta odierna, ancora poco si conosce sui geni in questione.

Leggi la ricerca originale su JCI Insight