«Così spenderemmo 100 milioni di meno»

2018-06-17T18:28:44+02:00 17 Giugno 2018|Attualità|

I dati presentati oggi dal Cns (Centro nazionale sangue) sono chiari: lo scorso anno – 2017 – c’è stato un calo di 8mila donatori rispetto al 2016. «Una situazione di equilibrio – dice il direttore generale del Cns, Giancarlo Maria Liumbruno – perché abbiamo raggiunto l’autosufficienza di sangue grazie anche alla compensazione tra Regioni».  Ma ciò non significa che i problemi non ci siano, precisa Liumbruno, medico trasfusionista che si occupa della gestione del “pianeta sangue”, un compito, oggi, davvero impegnativo.

Liumbruno parla con DonatoriH24 spaziando su tutti i tempi sul tavolo del sistema sangue: dalle questioni organizzative alle responsabilità delle Regioni; dalle previsioni future, all’utilizzo più accurato di alcuni farmaci plasmaderivati che potrebbero far risparmiare allo Stato, e questo è un dato poco conosciuto dai cittadini, addirittura centinaia di milioni di euro.

Dottor Liumbruno, le donazioni calano sensibilmente. Fenomeno contingente o strutturale?

Il calo delle donazioni è in parte causato dalla popolazione che invecchia e abbiamo bisogno che il mondo del volontariato continui a investire sui giovani come d’altronde sta già facendo. Dall’altro lato c’è una situazione parallela che è quella della riduzione del consumo del sangue, in particolare dei globuli rossi, perché si affinano le tecniche volte a ridurre l’uso. Questo perché contemporaneamente si è scoperto, ad esempio, che se si va anemici agli interventi chirurgici si ha più rischio di avere complicanze. Si tratta di tecniche che rientrano nel Patient Blood Management volte a fare in modo che i malati indirizzati a interventi di chirurgia programmata, ci vadano dopo aver rinforzato il loro patrimonio di sangue. Quindi si tratta di due fenomeni che vanno di pari passo: invecchiamento e riduzione delle donazioni da un lato, migliore utilizzo della risorsa sangue, anche del paziente, dall’altro.

Il sistema sangue è in difficoltà?

No, perché il sistema è autosufficiente. Viviamo in equilibrio, anche se in alcune regioni periodicamente c’è bisogno, da un lato, di ricorrere al sistema della compensazione, e dall’altro che si garantisca un’organizzazione della rete di medicina trasfusionale tale da mantenere costanti i livelli di raccolta sangue anche nei momenti più difficoltosi. C’è inoltre un’attenzione al reclutamento dei giovani anche perché è strategico produrre plasma, per il quale non siamo autosufficienti.

Può spiegare meglio?

Il plasma serve per produrre medicinali, i plasmaderivati. Noi siamo a un livello di autosufficienza, per i medicinali plasmaderivati, che mediamente oscilla tra il 60 e il 70% con differenze tra le varie Regioni. Abbiamo fatto un programma quinquennale per aumentare la produzione di plasma che ha proprio l’obiettivo di migliorare il livello di autosufficienza. Quindi è necessario investire sui giovani per questo.

Cosa deve cambiare nel sistema sangue?

L’Italia è globalmente autosufficiente per quanto riguarda il sangue, anche se in alcuni periodi dell’anno, normalmente subito dopo Natale e durante l’estate, ci sono dei cali nella raccolta che vanno evitati. In alcune regioni bisogna migliorare l’organizzazione della raccolta, quindi bisogna fare in modo che, ad esempio anche in estate, si offra, da parte delle strutture trasfusionali, la capacità di ricettività che c’è in altri momenti dell’anno. In inverno, il calo nella raccolta è in genere dovuto all’influenza, ma non solo: si tende ad aumentare la raccolta durante le feste natalizie. Il calo è quindi dovuto anche a un’abitudine organizzativa da migliorare. Centralmente, e quindi a livello di ministero della Salute e Cns, si sono messe in campo nuove azioni che possano contrastare queste situazioni di crisi, come l’offerta della vaccinazione antinfluenzale gratuita ai donatori in quanto categoria protetta. Le Regioni dovranno organizzare l’offerta della vaccinazione ai donatori e migliorare l’organizzazione della raccolta d’estate. Tanto più che da qualche anno, durante i mesi estivi, oltre alle ferie dei donatori ci sono anche alcuni virus che causano la sospensione del donatore, come il West Nile virus (WNV).

Può spiegare meglio il meccanismo precauzionale proprio nei casi di virus diffusi d’estate?

Nelle regioni in cui c’è il WNV si adotta il test per la qualificazione del sangue e del plasma donato. Paradossalmente quindi dove si diffonde il WNV tutti i donatori vengono testati e non si crea la carenza dovuta a sospensione dei donatori. Ma se un donatore transita in una Regione dove c’è il problema virus e poi torna nella sua regione, se lì non c’è il test in atto, viene sospeso. In alcune Regioni infatti il test non viene effettuato per evitare la sospensione di quei donatori a rischio perché hanno transitato in aree affette. Si risparmia quindi sul test ma si tratta in realtà di un risparmio non reale perché il sangue non raccolto sarà poi acquisito da altre Regioni. Quindi, da quest’anno, stiamo consigliando di effettuare il test per il WNV in alternativa alla sospensione, anche per non aggravare la carenza di sangue in estate.

Cosa sta facendo il Cns per garantire sempre autosufficienza di sangue?

Centralmente stiamo fornendo una serie di strumenti alle Regioni che se usati contribuiscono a mantenere il livello di autosufficienza anche nei mesi più a rischio. E’ fondamentale evitare gli alti e i bassi rispetto alla raccolta sangue perché i pazienti hanno fabbisogni da soddisfare tutto l’anno. Ad esempio, i pazienti talassemici hanno bisogno di sangue tutto l’anno e a cadenze ben prefissate per cui in estate il loro fabbisogno non cessa affatto. Ecco perché è strategico perfezionare l’organizzazione in alcune Regioni: questi malati hanno bisogno di sangue con regolarità.

Di fronte a una maxi emergenza il sistema sangue risponderebbe prontamente?

In caso di una maxi emergenza sì, risponderebbe perfettamente perché c’è un piano che le Regioni hanno recepito e un coordinamento che funziona. La risposta è arrivata anche quando, paradossalmente, non serviva. Per esempio quando ci sono stati dei disastri ferroviari e il terremoto il sangue c’era in eccesso. Quando abbiamo avuto l’emergenza da chikungunya a settembre scorso abbiamo adottato quel piano e nel Lazio sono arrivate quasi 6mila unità di sangue da settembre a novembre. Quando c’è l’emergenza, l’italiano si attiva e si iperattiva. Poi ogni Regione ha le scorte strategiche e le mobilizza in caso di necessità, noi come Cns coordiniamo questi spostamenti.

Quali meccanismi ostacolano un’ottima organizzazione regionale?

L’organizzazione trasfusionale è un’organizzazione che ha un interesse sovra regionale che è l’autosufficienza, e in alcune Regioni l’organizzazione può e dovrebbe essere migliorata. In alcune Regioni l’organizzazione del sistema sangue risente di politiche aziendali che talvolta non favoriscono tale principio. La rete trasfusionale deve essere, sulla base della norma europea, omogenea su tutto il territorio dell’Unione europea perché la qualità e la sicurezza delle prestazioni che vengono fornite al cittadino europeo che viaggia deve essere identica. E l’organizzazione delle strutture trasfusionali deve essere strutturata sulla base di norme che sono simil-farmaceutiche. Quindi, ci troviamo da un lato di fronte alla necessità dettata dalla normativa europea di fornire prestazioni omogenee su tutto il territorio, dall’altro c’è in Italia l’inserimento delle strutture trasfusionali in contesti dipartimentali che sono estremamente eterogenei.

Quindi l’impronta di uguaglianza richiesta dall’Ue in Italia trova qualche difficoltà?

In Italia, nella maggioranza dei casi, abbiamo strutture trasfusionali inserite in dipartimenti non trasfusionali ma ad esempio dei servizi, di laboratorio, di medicina o altro ancora. Un dipartimento include più reparti, in genere affini. Quindi il capo del dipartimento (non trasfusionale, ndr) in cui può essere inserita la struttura trasfusionale può non essere un trasfusionista ma avere un’altra specializzazione. Il tallone d’Achille sta quindi nel fatto che le strutture trasfusionali in alcune Regioni possono non avere un governo “trasfusionale” forte.

Eppure le strutture trasfusionali hanno specificità importanti…

I centri trasfusionali producono materia prima per i medicinali: il plasma; farmaci biologici che sono i globuli rossi, le piastrine e il plasma per uso clinico. Producono prestazioni assistenziali, cioè trattano i malati. E in più, a differenza di altre strutture che magari sono nello stesso dipartimento, devono rispondere a norme di accreditamento europeo di matrice europea e farmaceutica, le GPG (Good Practice Guidelines) che sono in pratica le Gmp (Good manufacturing practices) delle strutture trasfusionali. Inoltre le strutture trasfusionali sono sottoposte a ispezioni ogni due anni perché sia garantito che la materia prima che forniscono alle industrie di plasmaderivazione sia conforme alle norme del farmaco. Questa è l’estrema specificità di strutture che necessiterebbero di essere inserite in una rete regionale di medicina trasfusionale in grado di garantirne il governo sovraziendale, l’azione pienamente efficace delle strutture regionali di coordinamento per le attività trasfusionali e, quindi, un ottimale coordinamento nazionale di queste ultime.

Come risolvere queste contraddizioni?

Bisognerebbe dare un’identità forte alla Rete regionale di medicina trasfusionale sulla quale le Strutture regionali di coordinamento per le attività trasfusionali non sempre possono esercitare un’azione di governo pienamente efficace.

Per quanto riguarda la produzione di fattore ottavo plasmaderivato (FVIII, fattore essenziale della coagulazione del sangue, il cui deficit determina l’insorgenza dell’emofilia A) in Italia esiste una grande disponibilità di plasma che potrebbe coprire la domanda commerciale di Fattore VIII, ma non viene usato. E invece vengono usati farmaci prodotti con plasma straniero. Perché?

L’utilizzo di un farmaco piuttosto che un altro, in tale contesto è stato legato, almeno nel passato recente, alla continuità del trattamento del paziente emofilico che non sempre consentiva di passare da un farmaco ad un altro. Si potrebbe spingere nell’uso di farmaci plasmaderivati da plasma umano nazionale ma questo è complesso da mettere in pratica a causa proprio della necessità della continuità della cura. Va inoltre segnalato che in Italia è molto più pronunciata che in altri Paesi la quota di utilizzo di fattore ottavo ricombinato rispetto al plasmaderivato.

Quindi per quanto riguarda il fattore ottavo plasmaderivato si tratterebbe di un’eccedenza fisiologica?

In alcuni Paesi, come la Germania, è molto più pronunciata che in Italia la quota di utilizzo di fattore ottavo plasmaderivato da plasma nazionale sia rispetto al fattore ottavo plasmaderivato da plasma straniero che rispetto al ricombinato. E quindi, certo, si potrebbe fare qualcosa, ma si tratta di azioni da condividere con gli specialisti che trattano i pazienti emofilici.

Ma quando si scelgono i farmaci la prima volta…

Sì, certo, si potrebbe agire lì. Tra l’altro studi recenti hanno rivalutato il fattore ottavo plasmaderivato rispetto al ricombinante.

Dove finiscono i farmaci plasmaderivati con plasma italiano non usati?

L’Italia cede il suo surplus a fini umanitari.

Utilizzare plasma nazionale piuttosto che straniero farebbe risparmiare lo Stato?

Sì, se utilizzassimo quello nazionale risparmieremmo sull’acquisto di plasmaderivati con plasma straniero. Però è anche vero che per risparmiare molto di più sui plasmaderivati bisogna agire soprattutto su altri fronti.

Quali?

Bisogna risparmiare su quei farmaci plasmaderivati per i quali c’è un utilizzo che è in realtà inappropriato. Siamo infatti i maggiori consumatori al mondo di albumina. Consumiamo tutta l’albumina che produciamo con plasma italiano e siamo costretti ad acquistarne altra prodotta con plasma non nazionale. Tale richiesta è però dovuta a un uso inappropriato della stessa albumina. Stessa cosa per l’antitrombina. Il risparmio, o come preferisce dire, l’investimento, lo vedrei meglio in questo settore.

Ci può fare qualche esempio di utilizzo inappropriato?

L’esempio tipico è quando si usano questi farmaci solo per la correzione di dati di laboratorio.

Cosa significa?

Che vengono usati quando il paziente ha l’albumina o l’antitrombina bassa. Ma quel dato basso andrebbe valutato all’interno dell’intero quadro clinico del paziente, così facendo si potrebbe decidere di non usare il farmaco. Un farmaco plasmaderivato del quale si sta diffondendo l’uso inappropriato è poi il fibrinogeno. Esso nasce esclusivamente per trattare i deficit congeniti, che sono rarissimi. Però anche questo viene usato in una serie di setting, principalmente nel setting dell’emergenza-urgenza, dove non sempre esso viene impiegato appropriatamente.

Quanti soldi risparmierebbe lo Stato?

Nel 2015, considerando che più o meno la situazione è adesso simile, la spesa sul mercato commerciale per i plasmaderivati che avremmo potuto produrre era di oltre 100 milioni di euro. 130 milioni euro invece spendemmo per acquistare farmaci  che secondo i contratti di allora e ancora in parte in vigore oggi, le aziende farmaceutiche non producevano. Di queste cifre una buona fetta poteva e può essere risparmiata. Per esempio il fibrinogeno non rientrava nelle gare e quindi lo acquistavamo e tuttora, in parte, lo compriamo sul mercato commerciale. Ora le gare stanno cambiando e stiamo chiedendo di inserire nelle offerte delle farmaceutiche anche prodotti diversi.

Quindi potremmo dire che si potrebbero risparmiare, con utilizzi più oculati dei plasmaderivati con plasma italiano, oltre 100 milioni di euro?

Sicuramente si potrebbero risparmiare molti soldi.