L’epidemia di coronavirus, oltre a influenzare lo stile di vita di tutto il Paese, e causare decessi soprattutto nelle fasce più mature della popolazione, ha diffuso un’atmosfera di paura rispetto al rischio di contagio negli ambienti affollati. Questo sentimento, nonostante le misure restrittive attuate dal governo, ha causato anche una netta diminuzione della partecipazione dei donatori di sangue alla raccolta. In particolare le sale d’attesa dei centri trasfusionali, benché siano frequentate da persone sane e sottoposte ad una procedura di verifica della condizione di salute, si sono svuotate per molti giorni in tutto il Paese.
Chiediamo a Raffaele Vindigni, presidente di United Onlus, la Federazione nazionale delle associazioni dei pazienti affetti da thalassemia, drepanocitosi e anemie rare, qual’è la situazione per quanto riguarda chi dovrebbe ricevere le trasfusioni regolarmente: “In Italia sono presenti 7mila persone che soffrono di malattie del sangue di vario tipo” spiega Vindigni. “Le patologie sono tutte diverse. Quelle che le accomuna sono le terapie a cui sono sottoposti i pazienti, le cure dette ‘salvavita’: le trasfusioni di sangue, plasma e piastrine”.
Che cos’è la thalassemia e cosa significa avere questa patologia?
La thalassemia comporta una varietà di situazioni legate alla presenza di globuli rossi nel sangue. L’emoglobina tende a diminuire, più diminuisce più il paziente necessita di trasfusioni per riabilitare il globulo rosso. I malati si sottopongono a periodiche trasfusioni, che devono ricevere ogni 15/25 giorni in base alla gravità della malattia”.
In questo periodo di emergenza sangue, cosa può succedere ai pazienti che soffrono di questo tipo di malattie quando non ricevono il numero necessario di sacche?
“Se non ricevono le trasfusioni, i pazienti si indeboliscono a causa dell’insufficienza di ossigenazione del sangue. I malati possono sentire dolori arteriali sempre più acuti, e potrebbe avvenire un crollo del sistema immunitario dovuto all’indebolimento dell’organismo. Se il peggioramento dovesse protrarsi, oppure in alcuni casi gravi, i pazienti potrebbero avere problemi cardiopatici”.
Invece che cos’è la drepanocitosi e cosa significa vivere questa malattia durante l’emergenza sangue legata al coronavirus?
“Mio figlio Giorgio Pio ha 17 anni ed è thalasso-drepanicitico. Significa che il globulo rosso nel suo sangue ha la forma di una falce che tende a ostruire la circolazione nei vasi capillari. Quello che accade è che si creano degli agglomerati che possono bloccare la circolazione”.
Che cosa succede se non viene effettuata la terapia trasfusionale nella quantità necessaria?
“In termini pratici, il paziente comincia a sentire prima dei fastidi fortissimi perché i vasi capillari all’interno delle ossa non sono ossigenati. Se non vengono effettuate le trasfusioni necessarie i dolori diventano estremi, il sistema immunitario collassa ed è a rischio infezione da virus”.
Quali sono oggi i dati dei pazienti che hanno bisogno di trasfusioni?
“Il dato certo è che sono 1800 i trasfusi giornalmente, inclusi thalassemici e drepanocitici. Ci sono altre patologie all’interno del numero. Non sappiamo il numero di sacche per ogni paziente perché le esigenze sono tutte diverse e cambiano in base allo stato di salute in cui si trova la persona al momento della trasfusione”.
Cosa succede negli ospedali, in un periodo di emergenza sangue come questo, a quei pazienti che hanno bisogno di trasfusioni per proseguire le terapie?
“Se lo stato di salute richiede due sacche, gliene fanno una. Il paziente deve aspettare una settimana per fare la seconda sacca. Questo comporta uno stato di salute limitato. Aumenta la problematica di un eventuale contagio nel momento in cui si entra all’ospedale per ricevere una trasfusione. Questo perché avviene un indebolimento del sistema immunitario. I malati appartengono alla categoria degli immunodepressi ed entrare in ospedale significa il rischio di contrarre qualche virus. Per ricevere le trasfusioni, non possiamo nemmeno chiedere di essere trasfusi nelle sedi domestiche perché non possiamo andare a intasare il sistema sanitario in questo periodo già sovraccarico”.
Qual è la soluzione al problema della crisi?
“L’unica cosa che possiamo fare è chiedere alle persone di andare a donare il sangue. I donatori possono programmare la donazione evitando le code. Possono uscire di casa grazie all’autocertificazione per situazione di necessità. E’ una responsabilità civica. Dobbiamo evitare che si ripeta l’emergenza in futuro”.