Nel sangue le molecole “spia” del morbo di Parkinson
Uno studio italiano spiega come rilevare i sintomi

2019-07-23T16:55:28+02:00 23 Luglio 2019|Primo Piano|
di Emiliano Magistri

Avreste mai pensato che il sangue, oltre a rappresentare una speranza di vita per i tanti pazienti a cui viene donato, potesse essere anche lo strumento per scoprire patologie neurodegenerative? Ebbene sì, o quantomeno così sembrerebbe da uno studio effettuato tra l’Istituto italiano di tecnologia di Genova, la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige e la Fondazione Santa Lucia di Roma.

La ricerca, che è stata pubblicata sulla rivista Metabolomics, ha evidenziato come sette molecole presenti nel sangue e provenienti dalla flora batteria siano delle vere e proprie “spie” del morbo di Parkinson. Un risultato che, se confortato da ulteriori test futuri, potrebbe aprire una pagina importante nella diagnosi e, successivamente, nella cura di questo tipo di malattie. Ma andiamo per ordine.

Dopo aver effettuato gli esami del sangue su 587 persone, di cui 268 malate di sindrome neurodegenerativa, l’equipe ha analizzato le molecole prodotte dalla flora intestinale e il morbo di Parkinson. Nei pazienti malati, la presenza di sette tipologie di Nape (cioè lipidi) è risultata inferiore di circa il 15%, facendo capire ai ricercatori come in caso di danno neurologico, queste molecole, che in genere devono proteggere le cellule, diminuiscano. Soprattutto nelle donne è stato riscontrato un calo maggiore.

Per quanto lo studio apra, in prospettiva, scenari interessanti per nuove cure da adottare sul Parkinson, occorrerà stabilire prima con precisione le tempistiche con cui si riduce la presenza dei Nape nel sangue e il tempo trascorso dalla prima manifestazione del morbo.