“Perché Mario non sia dimenticato”

2020-12-04T13:59:48+01:00 3 Dicembre 2020|
di Marco Cagnazzo

Nel novembre del 1990 vengo chiamato dallo Stato per svolgere l’anno di servizio militare nell’esercito. Caserme, camerate, commilitoni, raduni, marce, magazzini, uffici, campi… Il solito copione di chi all’epoca svolgeva quell’impegno di un anno della propria vita.

Nell’estate del 1991 vengo inviato con l’intero reparto in Calabria, vicino a Rosarno (Nicotera Marina, per la precisione) per il nostro campo estivo.

E mentre ero di servizio in guardie estenuanti ed inutili alla tenda del bar (chi mai avrebbe assaltato un bar in un campo militare?), veniamo a sapere che cercano urgentemente dei volontari per donare sangue, in quanto, mentre scendevano con la camionetta dai monti della Sila, alcuni nostri commilitoni avevano avuto un grave incidente e necessitavano trasfusioni. L’unica cosa che mi aveva spinto ad accettare la proposta (che non mi aveva mai attraversato prima il cervello) era l’allettante possibilità di ricevere 5 giorni di ferie post donazione. Perciò, avevo accettato e mi ero messo in fila per donare per la prima volta il mio sangue.

Al ritorno a casa, qualche mese dopo, una pubblicità alla televisione colpì la mia attenzione: un ragazzo saliva le scale di un ospedale e si metteva nervosamente in una sala d’aspetto dove si leggeva “donazioni sangue”. Poco più in là un signore barbuto lo guardava con simpatia e gli chiedeva. “È la prima volta…?”. Si, aveva risposto il ragazzo. “E’ perché lo fai?”, insisteva il barbuto signore. “Per il mio amico Mario: ha avuto un incidente…”. “E lei? È la prima volta?” aveva domandato a sua volta il giovane. “No!”, aveva risposto l’uomo. “E perché lo fa?”, aveva chiesto ancora il ragazzo. “Per Mario…”.

Questa piccola scena mi passa davanti agli occhi ogni qual volta ancora oggi, dopo 30 anni, entro in sala prelievi tre o quattro volte l’anno. Perché Mario, chiunque esso sia, non sia dimenticato da me…