“La sensazione di pace che si prova dopo aver donato non ha prezzo”

2022-09-19T17:55:08+02:00 19 Settembre 2022|
di Giovanni Bonvento

Il mio percorso da donatore comincia a pochissimi giorni dal compimento dei miei diciotto anni. Lo ricordo come se fosse ieri: avevo sempre desiderato farlo perché vedevo gli adulti intorno a me (insegnanti, capi scout, amici dei miei genitori) donare periodicamente e raccontarmi le loro esperienze.

Così quel giorno di luglio del 2010 mi recai per la prima volta all’Avis di Scicli – la mia città – insieme a una mia compagna di classe per la visita medica e il prelievo di idoneità. Dopo pochi giorni la chiamata di una sorridente Lidia, la segretaria: ero idoneo!

Freschissimo di patente di guida, perciò, corsi nuovamente in Avis per la prima donazione di sangue intero, con paura dell’ago e ansia da prima volta superate alla grande. Da quel momento non mi sono più fermato, donando sia plasma che sangue all’Avis di Torino (città in cui ho frequentato l’università), in Spagna e in Cile (Paesi dove ho trascorso un lungo periodo di esperienza di studio) e oggi, a trent’anni, sono vicino al traguardo delle ottanta donazioni. La sensazione di pace che si prova dopo aver donato, che in me riesce a rendere bellissima pure la più nera delle giornate, non ha prezzo e vale qualsiasi risorsa e tempo spesi per donare.

Una volta laureato in medicina e rientrato a Scicli, ho subito mandato il curriculum alla mia Avis, continuando lì la mia carriera di donatore e cominciandone un’altra – se vogliamo ancora più emozionante – da direttore sanitario associativo. L’emozione di accogliere ogni settimana i donatori – e di coinvolgerne sempre di nuovi – mi da la carica per fare sempre di più e meglio: in questi due anni, da unico donatore in famiglia, sono riuscito a “trascinare” in Avis quasi tutta la mia famiglia.

Agli indecisi dico: buttatevi, lasciate a casa ogni tentennamento e paura e tuffatevi in questa avventura di solidarietà diventando parte della nostra famiglia di donatori. Perché in Avis non siamo pazienti,  non siamo medici, non siamo infermieri, ma siamo membri di un’unica grande famiglia.