L’autosufficienza ematica nazionale è ormai parte della consapevolezza di tutti gli attori del sistema sanitario, associazioni in testa, e così, di recente, lo stesso ministero della Salute ha inserito questo obiettivo nel novero delle priorità strategiche a breve termine da raggiungere assolutamente.
Dai propositi al raggiungimento concreto degli obiettivi tuttavia c’è inevitabilmente un gran lavoro da fare e in tal senso le associazioni di donatori di sangue italiane non possono che rivestire un ruolo di primaria importanza, viste le caratteristiche del sistema sangue italiano che tra i più efficienti al mondo si basa su valori etici riconosciuti come gratuità, anonimato, volontarietà, e organizzazione associativa.
Nei giorni scorsi, sul tema dell’autosufficienza abbiamo sentito le parole di Gianpietro Briola, presidente di Avis nazionale: ora, per sapere come Fidas – un’altra delle principali associazioni di donatori presenti sul territorio italiano – intende contribuire alla crescita della raccolta plasma, abbiamo intervistato Giovanni Musso, il presidente nazionale delle confederate.
Presidente Musso, in questi giorni il ministero della Salute ha inserito l’autosufficienza di emoderivati e plasma iperimmune tra gli obiettivi sanitari strategici del 2021, ci spiega perché è importante?
Con l’Atto di indirizzo il Ministero della Salute si impegna a lavorare sui temi che ritiene più importanti per la collettività, il fatto che lo stesso Ministero indichi tra questi temi anche l’intenzione di implementare la rete di medicina trasfusionale, le attività di produzione di emocomponenti e migliorare l’organizzazione della raccolta di sangue ed emocomponenti e plasma, nell’obiettivo dell’autosufficienza nazionale è una conferma di quanto lo stesso Ministero riconosca come fondamentale il Sistema Trasfusionale. Riteniamo di grande importanza per l’intero Sistema che il Ministero, nello stesso documento, riconosca l’importanza di «rafforzare l’offerta assistenziale, potenziando, in particolare, l’investimento in risorse umane (formazione, assunzione del personale sanitario)». Come anche Donatori h 24 ha segnalato negli scorsi giorni il tema della formazione del personale che lavora nel settore trasfusionale e l’assunzione di personale sanitario nel settore rappresentano due punti che possono contribuire significativamente all’intero sistema.
Come Fidas come proverete a contribuire a questo input?
Anche in FIDAS riteniamo fondamentale investire nella formazione. Formare i nostri volontari e i donatori circa l’importanza del dono quale impegno civico è uno degli obiettivi che Fidas si è data per il quadriennio 2020-2024.
E poi?
Non solo formazione: vogliamo dare il nostro contributo nel raggiungimento dell’autosufficienza nazionale anche attraverso la promozione di sinergie con altre realtà che vivono da vicino il tema della donazione del sangue, come le associazioni di pazienti. Lo stesso documento del Ministero della Salute segnala la necessità di «rafforzare i meccanismi per il reclutamento di donatori di Cellule staminali emopoietiche a fini di trapianto da iscrivere nel Registro nazionale dei donatori di midollo osseo», in questo senso vogliamo valorizzare sempre più l’accordo d’intesa che Fidas, insieme alle sigle del Civis e all’Aido, ha sottoscritto nel 2018 con l’Associazione Donatori Midollo Osseo (Admo), l’Associazione Donatrici Italiane Sangue Cordone Ombelicale (Adisco) e la Federazione Italiana Associazioni Donatori Cellule Staminali Emopoietiche (ADoCeS). Siamo certi che l’impegno comune nel coltivare la solidarietà possa andare solo che a beneficio dei tanti pazienti e del nostro Sistema Sanitario Nazionale. Questi sono sicuramente tre dei punti con i quali daremo il nostro contributo: formazione, sinergie con le associazioni di pazienti e collaborazione con le associazioni del dono.
Di recente sono arrivate le valutazioni dei risultati dello studio Tsunami. Come cambia secondo lei lo scenario clinico in seguito alle evidenze scientifiche? Il plasma iperimmune ha ancora ragione di essere utilizzato come trattamento clinico, visto che in molti casi ha ottenuto buoni risultati?
Lo studio ha adottato un metodo scientifico e i risultati ottenuti hanno mostrato che la somministrazione di plasma iperimmune non porta a benefici statisticamente significativi né in termini di minor ricorso a ventilazione invasiva né in termini di mortalità. Gli stessi risultati non si discostano da quelli ottenuti da altre ricerche. A partire da questi dati ci dovremmo fermare a riflettere onestamente se, fatta eccezione per ulteriori possibili studi sperimentali, sia giustificato continuare ad utilizzare il plasma per il trattamento dei pazienti Covid-19. Abbiamo una responsabilità anche etica, in primis nei confronti dei pazienti e dei loro famigliari ma anche nei confronti di tutti i donatori che mettono a disposizione della collettività il proprio dono.
Il titolo anticorpale del plasma da convalescente su cui si è basato lo studio tsunami era 1:160, mentre sembra che il titolo del plasma da vaccinati possa avere valori molto più alti. Bisogna organizzare dunque in modo orchestrato la raccolta plasma da vaccinati?
Come detto sopra, non neghiamo la possibilità di ulteriori studi sperimentali (per poter dare una risposta definitiva in tal senso sarebbe necessario uno studio clinico), tuttavia non possiamo non tenere conto dei risultati fin qui raggiunti: i donatori arruolati per la donazione di plasma iperimmune erano donatori che avevano già alti titoli di anticorpi neutralizzanti.
Ad oggi per la cura del Covid-19 abbiamo visto che gli anticorpi monoclonali rappresentano una terapia standardizzata in grado di dare dei benefici.
Le immunoglobuline prodotte con plasma dei vaccinati che ruolo potrebbero avere per contrastare le varianti Covid-19 che nelle ultime settimane preoccupano gli scienziati?
Abbiamo il dovere morale di non cavalcare l’onda emotiva per non rischiare di creare confusione tra i donatori e non solo, quindi in tutta franchezza è necessario ammettere che purtroppo non disponiamo ancora di dati scientifici che ci permettano di rispondere a questa domanda senza il rischio di incorrere in errore. Quel che sappiamo con assoluta certezza è invece la fondamentale importanza che hanno le immunoglobuline per alcune categorie di pazienti: sono dei veri e propri salvavita prodotti a partire dalla lavorazione del plasma donato. Pazienti affetti da immunodeficienze, pazienti in trattamento per patologie autoimmuni o per processi infiammatori sistemici, necessitano senza alcun dubbio delle immunoglobuline. Dunque credo sia importante dare priorità a questi pazienti, specie alla luce del calo registrato dal nostro Paese nella raccolta del plasma.
È importante far capire anche ai tanti che si sono avvicinati al dono proprio in questo periodo che non è importante solamente il plasma iperimmune, ma che questo emocomponente è prezioso a prescindere dal Covid-19 e che il suo dono continua ad essere di fondamentale importanza sempre, tutti i giorni.
Gli altri paesi europei come si stanno comportando in tal senso? Abbiamo riportato un articolo fiducioso della rivista Lancet, nel mondo si pensa di utilizzare il plasma da vaccinati o rispetto all’Italia il tema non ha ancora preso piede?
Nell’articolo pubblicato dalla rivista Lancet viene riportata un’opinione basata su dati di altri studi a partire dai quali si illustrano alcune possibili ipotesi. Siamo dunque di fronte ad un’opinione e non ai risultati di uno studio clinico.