Il rischio di una seconda ondata di Covid-19 è forte, e l’informazione sul tema, specie sui media mainstream, è fallace, contraddittoria, nonché spesso strumentalizzata a causa delle ingerenze della politica. Ecco perché il livestreaming di Donatorih24 andato in scena ieri, con la partecipazione del dottor Cesare Perotti, direttore del servizio trasfusionale di Pavia, tra i precursori della terapia con il plasma dei convalescenti, con Vincenzo De Angelis, direttore del Centro nazionale sangue, Pierluigi Berti, presidente della Simti (società italiana di medicina trasfusionale e immunoematologia) e Gianpietro Briola, presidente nazionale Avis e coordinatore Civis, è stato un momento di confronto e informazione intenso e ricco di contenuti, che, per chi lo avesse perduto, si può vedere integralmente qui:
Gli ospiti, i più autorevoli sulla piazza in virtù del loro impegno di lunga data sul campo in settori chiave rispetto agli argomenti in palinsesto, e coordinati dal direttore di Donatorih24 Luigi Carletti, sono entrati in media res restituendo le loro impressioni sul momento che sta vivendo il paese per ciò che riguarda il Covid-19, tra aumento dei positivi e i timori per l’eventualità di una seconda ondata. Gianpietro Briola, che si è diviso tra attività associativa nazionale e professione medica in un territorio tra i più colpiti come la Lombardia, si è detto ottimista “La situazione è tranquilla ma da tenere sotto osservazione. Ci sono molti asintomatici e i casi molto circoscritti, gli sforzi degli italiani sono stati premiati. Se restiamo attenti potremmo affrontare con serenità i prossimi mesi”. Dello stesso avviso Cesare Perotti, anche lui medico in prima linea nel momento più duro per il paese. “La situazione italiana è buona, ma da monitorare con rande attenzione. Oggi siamo in grado di controllarla agevolmente ma non bisogna mollare, perché i segnali che arrivano dall’estero. Nel mio ospedale, che è uno dei riferimenti nazionali, la situazione è sotto controllo”. E mentre Pierluigi Berti si affida al senso di responsabilità comune “Bisogna avere cautela, i sanitari hanno imparato nel tempo a gestire molto bene i pazienti, e tracciare e isolare i positivi. Dalla responsabilità dei cittadini e sul loro comportamento su misure non strettissime ma responsabili dipenderà ciò che accadrà nei prossimi mesi”, il direttore del Cns De Angelis loda il percorso fatto dal sistema paese “La situazione in italia è discreta perché ci siamo comportati bene, e dobbiamo partire dal presupposto che la situazione è buona proprio per le ottime scelte fatte. Se continueremo così la situazione rimarrà sotto controllo”.
La terapia al plasma iperimmune
In vista dei messi che verranno Il tema più atteso dai cittadini resta sempre la terapia basata sull’utilizzo del plasma iperimmune. Qual è la terapia più efficace a oggi? Sono stati fatti passi avanti? Chiara, sul tema, la posizione del dottor Perotti, che ha ribadito la validità del percorso iniziato nei mesi più difficili nel proprio ospedale, a Pavia, e nella struttura di Mantova, partner nella sperimentazione pionieristica. “Non ci sono ancora terapie standard di riferimento. Chi ha seguito l’epidemia nelle prime fasi lo sa bene, è stato provato tutto e ancora non c’è una risposta. Il plasma si piazza bene tra le cure più efficaci perché è effettivamente in grado di uccidere il virus, anche se naturalmente va usato nei modi e nei tempi corretti”. Affinché la sperimentazione possa continuare, è però necessario che vi sia la materia prima. Durante il lockdown, e subito dopo ferragosto, il sistema è andato incontro a delle crisi, poi subito rientrate, e la raccolta è diminuita (Fig.1).
Gianpietro Briola ha spiegato il perché. “La situazione oggi è buona, abbiamo avuto qualche momento di crisi quando sono riprese le attività sanitarie a pieno regime, una situazione che ha fatto sì che non in tutte le strutture vi fossero scorte di sangue. Poi non dobbiamo dimenticare che il distanziamento sociale ha creato problemi alla raccolta e all’organizzazione dei centri trasfusionali. Servirà maggiore flessibilità organizzativa in tutte la fasi, dalla chiamata fino alla ricezione, ma in base a quello che è successo possiamo dire che siamo soddisfatti, grazie al senso di responsabilità e all’efficienza dei donatori”. In caso di recrudescenza del virus, peraltro, il sistema è già pronto. Il direttore del Centro nazionale sangue De Angelis ha parlato di programmazione, chiarendo che “l’autosufficienza è un obiettivo di tutto il sistema, e i numeri non preoccupano. Gli ospedali sono stati rigenerati come ospedali Covid-19 e molte delle funzioni sanitarie standard sono state rimandate. Per cui arriverà un momento in cui dovranno riprendere e noi dobbiamo farci trovare pronti. Il paese ha un piano di raccolta legate alle maxi-emergenze. È un piano già fatto molto tempo che prevede anche le pandemie. Oggi non ci aspettiamo particolari carenze nei mesi autunnali, ma sicuramente andrà riformulata la raccolta sul breve periodo in base alle esigenze del sistema. Gli assembramenti non ce la possiamo permettere in discoteca e nemmeno i centri trasfusionali”.
La carenza dei medici trasfusionali e le insidie dei media
Tutto benissimo dunque? Non proprio. La situazione dei medici trasfusionali, per esempio, preoccupa e chiede soluzioni rapide, per assicurare continuità e sicurezza nelle trasfusioni. Pierluigi Berti, chiamato in causa sulla criticità ha espresso ottimismo e qualche preoccupazione, anche in riposta ad alcune domande del pubblico. “Sin dalle prime fasi della pandemia e del lockdown c’è stata una riduzione momentanea delle donazioni (fig.2), perché effettivamente i donatori non sapevano nemmeno se potevano donare o no. Poi c’è stato un recupero molto forte con un rebound che ha prodotto addirittura un’eccedenza di emocomponenti. Quando poi il plasma iperimmune è diventato un tema mainstream c’è stata molta richiesta da parte dei donatori che volevano partecipare sull’onda emotiva. Dal punto di vista dei trasfusionisti quindi c’è stata grande sensibilità. Le regole più strette potevano legittimare un calo delle donazioni ma ciò non è avvenuto, c’è stata una reazione consapevole e responsabile, compatibile con le necessità e le regole di questa fase. Il problema della carenza di specialisti è reale, e richiede un ripensamento del sistema trasfusionale nazionale in base alle risorse che abbiamo, altrimenti andremo incontro a una grande sofferenza”.
Se la programmazione del sistema secondo le risorse è quindi una priorità, non bisogna dimenticare tuttavia le difficoltà che può creare un’informazione troppo emotiva, scostante e fin troppo legata ai capricci dell’attualità. È vivo lo scarto tra la risposta dei donatori di plasma iperimmune nel momento più duro dell’epidemia, e quella più fredda di questi ultimi mesi. “Io ho avuto un’esperienza straordinaria – ha spiegato il dottor Perotti – C’è stata una risposta estremamente con donatori che sono arrivati anche da Bolzano. Quando abbiamo detto alla gente “la cura potresti essere tu” la reazione è stata positiva. C’è ancora oggi una quota di persone che è disposta a donare il plasma, ma va detto che tra i pazienti convalescenti, c’è anche, chi non risponde come prima e anzi e addirittura risentito”.
Cos’è accaduto? C’è stato un cortocircuito? Per Briola esiste una causa ben individuabile: “Non ha fatto bene a nessuno il tam-tam mediatico creato sulla possibilità di poter far donare il plasma tutti pazienti convalescenti. Noi abbiamo insistito per far donare prima i pazienti guariti già donatori. Chiamare alle armi e alla donazioni solo sull’onda emotiva e solo in base a un emergenza credo non sia il metodo giusto”. Dello stesso avviso De Angelis, che tuttavia ha individuato un potenziale ottimizzabile anche nella risposta emotiva “È un fatto storico – ha detto – noi italiani quando veniamo chiamati alle armi rispondiamo sempre, ma se la guerra d’assalto piace a tutti, la guerra di trincea piace meno. Giusto pensare non i pazienti convalescenti ma a donatori convalescenti, gente che conosciamo bene con una storia trasfusionale chiara e documentata. L’emozione ha portato la gente a donare ma ora bisogna richiamarli, fare in modo che siano ancora disponibili a farlo. Nuovi donatori ne sono venuti molti, ora bisogna riuscire a non farseli scappare”.
Gli arsenali al plasma e i progetti di ricerca
Ma in questo quadro in divenire, i cosiddetti arsenali di plasma iperimmune esistono davvero? Lo stesso De Angelis fuga ogni dubbio. “Gli arsenali ci sono, e progetti come Tsunami hanno fatto sì che molte ragioni ci abbiano lavorato molto e li abbiano creati. Anche l’unione europea si è mossa e ha creato un progetto dal nome Support-E (Fig.3), che mira a sviluppare questa terapia. Si sta costruendo un database europeo grazie a cui ciascun paese sarà chiamato a dire quante munizioni ha a disposizione. Per cui se servirà, il plasma lo abbiamo, altrimenti potrà essere utilizzato per la frammentazione industriale, in modo da non buttare via nulla”.
Del progetto Tsunami, sempre su Donatorih24, aveva parlato nei giorni scorsi il responsabile, il dottor Francesco Menichetti, attraverso un’intervista ricca di spunti. Menichetti ha parlato di un sostanziale stop con numeri non soddisfacenti, a causa di rallentamenti burocratici (Fig.4). Perotti, in tal senso, si dimostra ottimista. “Il protocollo Tsunami – ha spiegato – doveva essere fatto, ma è arrivato in un momento in cui le esigenze dei pazienti nella pandemia si stavano spegnendo. Organizzare i trial non è semplice, ci sono articoli che spiegano bene perché non era possibile creare da subito un protocollo randomizzato. Io sono fiducioso che Tsunami possa riprendere in caso di necessità, ora c’è qualche paziente in terapia intensiva, negli ultimi 10 giorni mi sono arrivati 6-7 pazienti arruolabili per il dono di plasma convalescente”. Sono molti i motivi per cui è un bene che l ricerca sul plasma iperimmune vada avanti. Per Pierluigi Berti l’importante è “che nei prossimi mesi possano arrivare evidenze scientifiche consolidate anche da altre zone del mondo. Solo così sarà possibile affrontare la malattia dei pazienti non più a livello sperimentale ma con certezze scientifiche importanti”. Secondo Briola il punto chiave è “testare i livelli anticorpali dei pazienti sul territorio, in modo da capire bene su quanti donatori si possa contare, quanti hanno effettivamente gli anticorpi neutralizzanti” Come farlo? Con il lavoro sul territorio. “Lavoreremo con gli altri attori del sistema trasfusionale – ha ribadito il presidente di Avis e coordinatore Civis – sensibilizzando i donatori soprattutto al nord, il territorio più colpito, e metteremo a disposizione i nostri centri di raccolta e la nostra capacità di programmazione e organizzazione, con l’elasticità necessaria a tenere i numeri e mantenere l’autosufficienza in vista delle tendenze future, che prevedono invecchiamento della popolazione e conseguente aumento di richiesta di emocomponenti”.
In tal senso, è necessario insistere sull’importanza dei plasmaderivati, sia per quel che riguarda il Covid-19, sia per la cura di altre malattie. Ma come mai si sente, talvolta, qualche scetticismo della comunità medica sui plasmaderivati? Secondo De Angelis le immunoglobuline specifiche potranno essere utili, ma se il plasma manca sarà necessario andarle a trovare in laboratorio. “Se in laboratorio si potranno ottenere principi efficaci che non dipendono dalla materia prima, questo è sicuramente più vantaggioso. Pensiamo a quello che è accaduto con il fattore VIII creato da ricombinanti. I medici si pongono il problema della materia prima, e sperano in farmaci di più facile reperimento”. Sulla sicurezza dei plasmaderivati invece, non c’è alcun dubbio. “Se un medico mette in dubbio la sicurezza dei plasmaderivati oggi – ha chiarito il direttore del Cns – ha bisogno di rinfrescarsi la propria cultura medica, negli ultimi 30 anni non c’è stato mai un problema, anche nei casi di utilizzo di fattore ottavo plasmaderivato. Il tema semplicemente non si pone”.
E per ciò che riguarda le terapie contro il Covid-19, realisticamente cosa dobbiamo aspettarci dai prossimi mesi? Cosa c’è da fare? Secondo il dottor Perotti l’importante è non mollare la presa e impegnarsi a fondo. “Stiamo capendo un po’ di più rispetto a marzo quello che stiamo facendo, capiamo che gli anticorpi non sono tutti uguali, escono in tempi diversi e ci sono altre tecniche nuove che stanno emergendo adesso. Noi dobbiamo umilmente continuare a studiare e concentraci anche sull’altra parte del plasma, un liquido molto complesso che contiene tantissime sostanze. Il destino finale sarà probabilmente la produzione di anticorpi come emoderivati, ma prima dobbiamo capire quali sono gli anticorpi da poter somministrare ai pazienti in totale sicurezza. Oggi abbiamo di nuovi pazienti in terapia intensiva, circa una decina”.
Il vaccino e i propositi per il futuro
Anche perché la situazione dei vaccini non è facilissima da prevedere, una conclusione su cui tutti gli ospiti sono d’accordo pur con diverse sensazioni. “Ho letto stamattina un lavoro su Science – ha spiegato lo stesso Perotti – e posso dire che il vaccino sarà una buona soluzione anche se dobbiamo ancora capire in che percentuale la popolazione deciderà di farlo. In usa sembra che il 30% della popolazione non lo farà. Il vaccino potrà dare un grande mano, anche se la situazione risolutiva sarà probabilmente trovare l’immunità di gregge”. Pierluigi Berti vede invece la collaborazione tra più fattori. “Sono ottimista, i tempi non sono definibili con certezza ma molti degli studi sono in fase avanzata. Bisognerà tuttavia fare in modo di poter raggiungere l’immunità di gregge per la maggior parte della popolazione. Alto tema è quello degli anticorpi monoclonali, che potrebbero fornire un buon supporto alla lotta alla pandemia”. Briola pone l’attenzione sulle tempistiche: “Credo che Putin abbia annunciato un vaccino quasi pronto per il Covid, ma bisogna procedere con molta cautela. Io credo che per un vaccino valido ci vorranno ancora molti mesi anche perché poi dovremo capire quante dosi ce ne saranno a disposizione. Importante tuttavia appellarsi a tutti i cittadini e donatori affinché facciano il vaccino per l’influenza, perché esiste una sovrapposizione molto pericolosa che andrebbe evitata”.
Chiusura riservata a De Angelis, che in rappresentanza dell’istituzione che deve coordinare il lavoro di tutti gli attori di sistema individua il macro-obiettivo di fondo, il lavoro di squadra. “Il vaccino sarà pronto quando le autorità farmaceutiche lo diranno, non tocca ai presidenti. Sottoscrivo l’appello di Briola in favore del vaccino contro l’influenza, è una buona cosa per tutti. La prima delle sfide oggi è quella di re-ingegnerizzare il sistema per ottenere gli stessi risultati in condizioni diverse. Non è un problema di soldi ma di persone. L’obiettivo è l’unione, dobbiamo pensare di avere obiettivi comuni e trovare il modo di raggiungerli insieme”.