Mi chiamo Paola, ho 62 anni, dono da quando ho 18 anni. La prima volta è stata indimenticabile. È avvenuto per caso mentre attendevo una mia amica a Piazza Venezia, a Roma. Ho visto l’autoemoteca parcheggiata poco distante. L’infermiere era appoggiato al furgoncino, aspettava che arrivasse qualcuno. Quando mi ha vista, ha chiesto:”Vuoi donare il sangue?” Ho accettato, perché no? A diciotto anni si è aperti alle novità. È stata un’esperienza elettrizzante, mi sono sentita molto bene, ho avuto l’impressione che addirittura mi facesse sentire meglio.
Qualche anno dopo ho donato per la seconda volta. È successo quando un collega mi ha chiesto di andare a donare sangue per sua figlia nata prematura. Alla bambina di circa 5 mesi servivano gli enzimi, il padre per salvare la piccola ha invitato a me e agli altri colleghi a presentarci in un centro specializzato in aferesi. Siamo andati in tanti, eravamo 6 circa, sono riusciti a donare quelli che avevano le vene un po’ più spesse e che sopportavano meglio l’ago. Hanno scelto me e un mio collega. L’aferesi è durata due ore, è stato un pochino fastidioso, ma ciò che veramente mi ha addolorata è stata la presenza nell’appartamento di tanti bambini con malattie del sangue. In via Morgagni, dove era situato il centro di aferesi dell’Associazione Donatori Sangue Problemi Ematologici Ad Spem, i donatori venivano fatti accomodare nella stessa sala dove i bambini malati attendevano di ricevere le trasfusioni.
Mentre uscivamo dalla sala ne abbiamo incontrati tanti. Non lo dimenticherò mai. La bambina del mio collega purtroppo era grave e non ce l’ha fatta, ma una cosa bella è accaduta: il ragazzo con cui ho donato quel giorno è diventato mio marito. Ancora lui dona, lo ha fatto per tutta la vita. Anche io ho continuato, ed ora sono socia attiva Ad Spem, da quando sono in pensione cerco di aiutare l’associazione nel tempo libero. Un pensiero per tutti coloro che vorrebbero provare l’esperienza? Ve la consiglio, fa bene al cuore, all’anima, al corpo.