Tenere alta la guardia nelle campagne promozionali e coinvolgere sempre più nuovi donatori a farsi avanti. In vista del nuovo anno le associazioni di pazienti fanno il punto sul 2019 e tracciano gli obiettivi da centrare per garantire a tutti terapie e qualità di vita soddisfacenti.
Quelli che stanno per finire in archivio sono stati 12 mesi positivi, sotto il profilo del lavoro e della collaborazione con istituzioni e associazioni di donatori. Tuttavia, come spiega a DonatoriH24 il presidente di Aip (l’Associazione immunodeficienze primitive), Alessandro Segato, “siamo sempre più consapevoli di come sia necessario fare rete tra le varie realtà coinvolte nel sistema sangue italiano. Migliorare il servizio significa garantire la copertura del fabbisogno per tutti”. Soprattutto nell’ottica di un 2020 che vedrà l’Italia protagonista della Giornata mondiale del donatore di sangue il prossimo 14 giugno.
Segato è affetto da Idcv, cioè immunodeficienza comune variabile. Si tratta di una patologia nella quale il midollo smette di produrre immunoglobuline o ne produce una quantità irrisoria e di scarsa qualità. Grazie ai farmaci plasmaderivati, nella fattispecie alle immunoglobuline, che, ogni quindici giorni, si somministra con infiltrazioni sottocutanee, può curarsi. Grazie ai donatori può vivere. Proprio per questo, la sfida che ci attende per il 2020 deve essere quella di “coinvolgere sempre più persone facendo capire loro a chi va il sangue o il plasma che donano e, soprattutto, quanto sia importante perché è da questo che vengono prodotti i farmaci salvavita. Come Aip stiamo sviluppando una serie di campagne di comunicazione anche attraverso la realizzazione di un cartone animato con la nostra mascotte Lino Globulino. Creare una rete sempre più fitta tra pazienti, associazioni di donatori, Centro nazionale sangue e ministero della Salute è indispensabile per garantire cure e sicurezza a tante persone”.
Senza dimenticare la programmazione: “Occorre lavorare per far sì che una persona abbia la possibilità di curarsi sempre, non solo se ha la fortuna di nascere in una cosiddetta regione virtuosa – conclude -. Nessuno di noi fa il tifo per una casa farmaceutica piuttosto che per un’altra, a noi pazienti interessa soltanto la qualità del prodotto e la sua efficacia. Questo deve essere garantito a tutti”.
Programmare le donazioni e, conseguentemente, le terapie, è il tasto su cui batte anche Raffaele Vindigni, presidente di United Onlus, la fondazione che raccoglie su tutto il territorio nazionale circa 40 associazioni di pazienti con talassemia, drepanocitosi e altre forme di anemie rare. “Non bisogna mai abbassare la guardia nelle campagne promozionali – spiega a DonatoriH24 -, perché abbiamo bisogno di più donatori possibili. Sensibilizzare e informare l’opinione pubblica sulle malattie del sangue è fondamentale: chi dona il sangue deve sapere che non lo fa solo per chi ha la leucemia o deve sottoporsi a un intervento chirurgico, ma anche per chi soffre di patologie come la talassemia”.
Vindigni è di Modica, in provincia di Ragusa. È il papà di un ragazzo di 17 anni che soffre di talassodrepanocitosi, una forma di anemia ereditaria caratterizzata dalla presenza di un’emoglobina alterata sia dal punto di vista quantitativo (come nel caso della talassemia) sia da un punto di vista qualitativo (come nel caso della drepanocitosi). Deve sottoporsi a una terapia che, tecnicamente, prevede una sorta di scambio del sangue, ogni 50-55 giorni: nel periodo estivo l’intervallo durante il trattamento viene ridotto a 40-45 giorni. “Fin da piccolo lo abbiamo incentivato a vivere normalmente, con abitudini precise e rispetto di se stesso – racconta -. Come mio figlio ci sono tante persone che convivono con questa o altre patologie e che, proprio grazie all’attività di tanti donatori, possono curarsi e vivere. Proprio per questo è fondamentale programmare le donazioni e le trasfusioni: la malattia di mio figlio non si cura sull’urgenza, ma sulla programmazione nel tempo. Se la stessa cosa si facesse scadenzando con precisione la somministrazione di tutto il sangue donato, tutti i pazienti avrebbero la possibilità di essere curati senza problemi”.
Ma come si può raggiungere questo obiettivo? “Occorre capire perché la carenza viene lamentata sempre in periodi specifici: mancano i donatori o è la terapia in questione che non è stata programmata? Bisogna organizzare un tavolo con i rappresentanti delle singole federate e dei centri trasfusionali locali – conclude – per verificare ogni provincia in che condizioni si trova a livello di autosufficienza. Partiamo dal locale per migliorare l’intera organizzazione nazionale”.