Lavorare per garantire disponibilità delle cure e un’adeguata formazione del personale sanitario nei Paesi meno sviluppati. Si chiude con questa sfida la giornata organizzata a Firenze per il lancio ufficiale di WIRhE, la onlus nata a New York su iniziativa della Columbia University e il supporto di alcune società del settore farmaceutico tra cui l’italiana Kedrion.
All’ospedale degli Innocenti si sono riunite istituzioni, federazioni mediche, ong e associazioni, con l’obiettivo di individuare una strategia comune per l’annientamento della Mefn, la malattia emolitica del feto e del neonato, una patologia che è possibile prevenire con due semplici iniezioni di immunoglobuline anti-D durante la gestazione.
Come ha spiegato a DonatoriH24 il presidente di Avis, Gianpietro Briola, “la necessità primaria è quella di lavorare insieme per avere la disponibilità del farmaco e preparare il personale sanitario dei Paesi sottosviluppati, o in via di sviluppo, affinché siano in grado di garantire la terapia a tutte le donne a rischio contagio“. Un progetto ambizioso che, oltre a portare un quadro sulla conoscenza mondiale della malattia Rh, nel corso del simposio fiorentino è servito anche a rilanciare il ruolo dei donatori: “Senza plasma non si può produrre l’anti-D, ecco perché occorrerà creare una rete specifica di donatori immuni per ricavare il medicinale necessario che, proprio nel 2018, ha visto cadere il 50esimo anniversario della sua scoperta”.
Sono circa 300mila, ogni anno, le gravidanze colpite nel mondo e 150mila i morti neonatali, tutto per l’assenza di una profilassi che, nonostante rientri nella lista dei trattamenti essenziali stilata dall’Oms (l’Organizzazione mondiale della sanità), manca proprio nei Paesi dove sarebbe più necessaria, quelli cioè meno sviluppati. “Per la malattia Rh c’è una copertura globale, a oggi, solo del 50% – spiega il presidente di Fidas, Aldo Ozino Caligaris -. Le sfide future saranno quelle per ottenere anticorpi specifici anti-D per immunizzare le donne, in particolare dei paesi africani”. Significative, a tal proposito, seppur drammatiche, sono state le testimonianze di due rappresentanti di malati in Nigeria e in Cina: “Nel primo caso, su una popolazione di quasi 200 milioni di abitanti, circa 100mila bambini ogni anno muoiono a causa di questa malattia – prosegue -. E in Cina, seppur il numero dei decessi si riduce, il dato rimane comunque alto se rapportato alla popolazione totale”. Come possono intervenire i donatori allora? “Sarà importante coinvolgerli in un programma di aferesi specifica – conclude Ozino Caligaris – e, parallelamente, proseguire la ricerca in laboratorio per creare anticorpi monoclonali che possano integrare quelli che già vengono estratti dal plasma”.
Insomma il messaggio è chiaro: l’occidente che ha sconfitto il problema, deve ora fare la sua parte per aiutare chi ancora non è riuscito a farlo. “La mission di questa allenza mondiale non dovrà limitarsi solo a garantire la disponibilità di immunoglobluline, ma anche a riuscire a tipizzare le donne, in particolare, di quei territori a Sud del deserto del Sahara che, nella maggior parte dei casi, partoriscono in casa e non sono quindi intercettabili tramite alcuna struttura sanitaria”, spiega il presidente della Simti, Pierluigi Berti. Un obiettivo che andrà raggiunto anche gestendo il costo dei farmaci anti-D e garantendo campagne di informazione e formazione in accordo con i singoli governi dei Paesi coinvolti: “La sensibilizzazione da parte delle associazioni di volontariato sarà fondamentale – conclude -. Raddoppiare la produzione attuale di questo mediciale è impossibile, ecco perché sarà determinante la cooperazione di tutte le realtà coinvolte nel progetto WIRhE”.