La diagnosi per le donne viene fatta più tardi rispetto agli uomini. Questo il risultato di uno studio danese effettuato su 6,9 milioni di persone: alle donne, per le malattie prese in considerazione, sono state diagnosticate circa quattro anni più tardi dell’età in cui le stesse condizioni erano state riconosciute negli uomini.
Pubblicato sulla rivista Nature, lo studio ha evidenziato un problema che i ricercatori non sanno se si debba attribuire alla genetica, all’ambiente, a, persino, possibili pregiudizi di tipo sessista nel sistema sanitario o a una combinazione di ragioni. I pazienti presi in considerazione sono stati precisamente 6.909.676 pazienti (l’intera popolazione danese nel corso di un periodo di 21 anni), di cui il 48,2% erano donne.
«Non stiamo analizzando solo una malattia specifica, ne stiamo prendendo in considerazione una vasta gamma e osservando un’intera popolazione, dalla culla alla tomba», ha riferito il direttore della ricerca, il dottor Søren Brunak, dell’Università di Copenhagen.
Dalla ricerca risulta che, in media, le donne ad esempio hanno ricevuto diagnosi di cancro 2,5 anni dopo gli uomini e diagnosi di malattie metaboliche come il diabete 4,5 anni dopo.
I fattori di rischio, in questo caso una diagnosi precoce, possono predisporre gli uomini e le donne ad alcune malattie in modo non equo. I ricercatori hanno trovato ben trovato 939 coppie di studio in cui il rischio relativo di una diagnosi futura era più alto in un sesso, quello femminile, rispetto all’altro.
«Questo in realtà ci ha sorpreso molto», ha riferito Brunak. «Gli uomini hanno generalmente la tendenza ad andare dal dottore più tardi, se teniamo conto di questo, la differenza nell’insorgenza è ancora più grande».
Brunak e il suo team hanno preso in considerazione i tassi di incidenza delle malattie nelle 18 vaste categorie del sistema di diagnosi gestito dall’Organizzazione mondiale della sanità. Anche se comunque lo studio non è stato progettato per spiegare le cause delle differenze e, altro limite della ricerca danese, i ricercatori hanno esaminato solo le diagnosi fatte su pazienti ospedalizzati.
Il dottor Noel Bairey Merz, direttore del Barbra Streisand Women’s Heart Center presso il Cedars-Sinai Smidt Heart Institute, che non è stato coinvolto nello studio, ha fatto notare a Reuters Health, primo a riportare la notizia, che però lo studio manca di informazioni sull’età alla diagnosi per le persone che non hanno richiesto il ricovero ospedaliero.
Lo studio di Brunak, pubblicato su Nature Communications, ha dimostrato anche che l’osteoporosi è stata l’eccezione alla tendenza. In questo caso alle donne la patologia è stata generalmente diagnosticata prima di subire una frattura, mentre per gli uomini il contrario.
«Sono affascinato da questo studio, che in generale conferma tutto ciò che mi era stato presento al mio corso di Stanford su Sesso e Genere in Fisiologia e Malattie Umane», ha detto Marcia Stefanick, direttrice del “Stanford Women’s Health & Sex Differences Center” dell’Università di Stanford.
Vero anche che «Quando gli uomini vengono visitati per malattie che la maggior parte degli operatori sanitari considerano “malattie delle donne“, queste vengono diagnosticate in fasi successive e, così, viceversa», ha riferito a Reuters Health la dottoressa Stefanick .
«Ad esempio, alle donne vengono diagnosticate più tardi le malattie cardiache, non solo perché è ancora ampiamente considerata una “malattia dell’uomo“, ma anche perché i test diagnostici sono all’interno delle prevenzioni maschili. Tutte le scuole di medicina e la formazione sanitaria dovrebbero soffermarsi sia sulle differenze biologiche che, anche, sull’evitare pregiudizi di genere (anche inconsci) in modo che i professionisti sanitari ne siano consapevoli».
E, in effetti, i risultati dello studio sono interessanti e fanno riflettere ma «sono sicuramente necessarie ulteriori ricerche per determinare se le differenze di genere nell’età alla diagnosi sono “reali” e se siano legate a pregiudizi di tipo sessista, a effettive differenze biologiche o associazioni di errori casuali» riferiscono i ricercatori.