Carenza di personale e donatori rimandati a casa. È quanto successo all’ospedale “Tatarella” di Cerignola, in provincia di Foggia. In base a quanto riportato dalla Gazzetta del Mezzogiorno, i motivi sono da ricondurre alla malattia dei due medici responsabili del centro trasfusionale che ha costretto la Asl del capoluogo pugliese a inviare personale sanitario da Manfredonia. Un inizio di settimana complicato, insomma, ma non si tratterebbe di un caso isolato.
Michele Tenace è il presidente della sezione provinciale di Foggia della Fidas Dauna. È stato lui a spiegare, a DonatoriH24, la condizione di difficoltà con cui le associazioni e i volontari fanno i conti, praticamente, ogni giorno. “L’ultima volta era capitato nel periodo estivo – racconta -, quando il personale era assente per ferie. In quel caso mi ero rivolto addirittura ai carabinieri e al prefetto. Purtroppo, l’episodio in questione porta a galla tutti i difetti organizzativi della rete della donazione in Puglia”.
“Viviamo in una situazione di totale abbandono da parte delle istituzioni, non c’è alcun coinvolgimento con le associazioni – prosegue -. Basti pensare che il programma trasfusionale non è stato condiviso con nessuna delle sigle che lavorano su questo territorio. Avis, Fratres e Fidas, a oggi, rischiano di organizzare raccolte di sangue nella stessa giornata, e questo va solo a svantaggio dei donatori e di coloro che hanno bisogno di trasfusioni”.
Secondo il presidente, ciò che servirebbe è “un’intesa ufficiale tra le strutture del territorio che accolgono i donatori. Un vero e proprio protocollo che contribuisca a creare quella comunicazione che, a oggi, è del tutto assente. A Foggia si riescono a raccogliere circa 10mila sacche nel corso dell’anno, mentre tra i centri trasfusionali di Cerignola, Manfredonia e San Severo, a malapena, si raggiungono le 6mila. Se poi si verificano anche episodi come quello avvenuto all’ospedale Tatarella, diventa tutto più complicato”.
Una carenza di personale e di organizzazione, insomma, che al momento rischia di far pagare il prezzo più alto proprio a chi, invece, dovrebbe essere tutelato per primo: i pazienti.