Le malattie rare e ultra rare conosciute sono tra le 7 e 8mila, di queste meno di 2mila sono oggi curabili. Soltanto in Italia, i pazienti rari sono circa 2 milioni, per molti di loro l’unica speranza di vita è legata alle donazioni di plasma.
Il quadro è emerso dal convegno “Il ruolo del plasma per le malattie rare: un impegno che salva la vita” che si è svolto alla Camera dei Deputati indica, una volta di più, che il plasma donato dai volontari rappresenta una risorsa fondamentale per la salute pubblica. All’incontro hanno partecipato il professor Gianpiero Tamburrini (policlinico Gemelli di Roma), la dottoressa Maria Teresa Sartori (Azienda ospedaliera universitaria di Padova), Ugo Di Francesco (Ceo di Kedrion Biopharma) ed è stato moderato da Ilaria Ciancaleoni Bartoli (direttrice dell’Osservatorio sulle malattie rare). Erano presenti i maggiori rappresentanti delle associazioni italiane di donatori e pazienti.
Durante il convegno è stata presentata la storia del piccolo Nicolò, un bambo di due anni affetto dal deficit congenito del plasminogeno (una molecola prodotto dal fegato che serve a sciogliere i trombi). Poiché il deficit congenito del plasminogeno interessa, soprattutto, l’occhio l’evolversi può portare a una condizione nota come congiuntive lignea. La malattia colpisce 1.6 persone su un milione, non esistono esami di screening per individuarla, molte cure sono state tentate fin dagli anni Novanta, oggi una terapia è stata individuata in un collirio derivato dal plasma.
L’Italia non è autosufficiente per la raccolta del plasma ed è quindi costretta a reperire farmaci plasmaderivati nel mercato internazionale con un conseguente aggravio sulla spesa pubblica. Secondo le stime elaborate dal Centro nazionale sangue, tale spesa si aggira sui 134 milioni per quel che riguarda le immunoglobuline e sui 46 milioni per quel che riguarda l’albumina.
Secondo un’analisi dell’Osservatorio malattie rare, nel 2022 in Italia sono raccolti circa 14.2 chilogrammi di plasma per ogni 1.000 abitanti, una quota inferiore a quella che porterebbe all’autosufficienza, che si attesta almeno sui 18 chili.