“Quello che ho cercato di suggerire, anche alla Commissione Europea, è di fare in modo che ci sia un interesse pubblico a sviluppare nuovi farmaci per i pazienti di malattie rare. Questo si potrebbe fare tramite lo stanziamento di un miliardo di euro all’anno, che è una piccola somma per l’Unione Europea, questo miliardo potrebbe essere utilizzato per costituire venti gruppi, ognuno con la propria specialità e ognuno finanziato con 50 milioni di euro all’anno, che sviluppano farmaci per le mattie rare”. Questa è la ricetta del professor Silvio Garattini per fronteggiare la questione degli investimenti sulle malattie rare, un business che, per le case farmaceutiche, non è un business in quanto l’investimento sarebbe maggiore delle spese per sviluppare una terapia. Garattini è una delle voci scientifiche più autorevoli in campo europeo, fondatore dell’istituto di Ricerche farmacologiche Mario Negri di cui oggi ricopre la carica di presidente.
Sulla questione si è espresso il presidente di Fidas, Giovanni Musso.
“Nonostante i continui progressi della medicina di precisione e personalizzata – commenta Musso – delle tecnologie genomiche che offrono sempre più nuove possibilità di trattamento per arrivare a cure più efficaci, il futuro delle persone affette da malattie rare anche se appare sicuramente migliore che in passato, è ancora molto incerto. Abbiamo l’obbligo come comunità di farci carico del diritto alla salute di queste persone e, in tal senso, l’assistenza socio-sanitaria non può prescindere da un forte incremento degli investimenti nella ricerca per garantire e individuare percorsi diagnostici e di cura rapidi ed efficaci. Nel maggio scorso nel nostro Paese è stato approvato il Piano nazionale malattie rare e tumori rari 2023-2026. Sicuramente un passo in avanti in termini di concretezza per migliorare la qualità di vita di queste persone. Così come nella Missione 6 – Salute del Pnrr sono stati finanziati programmi e progetti di ricerca anche nel campo delle malattie rare”.
Secondo Musso, però, c’è ancora tanto da fare: “Ritengo, tuttavia, che sia necessario un maggiore impegno, anche investendo sulla sanità digitale e sull’Intelligenza artificiale. Riuscire a potenziare per questi pazienti la telemedicina significa contribuire a migliorare fortemente la loro qualità di vita quotidiana e riuscire anche attraverso una buona sanità digitale a svolgere per via telematiche molte delle pratiche burocratiche richieste. Una possibilità che aiuterebbe in modo fattivo sia il paziente che il caregiver. Le persone affette da malattie rare fanno i conti anche con la grande disomogeneità di trattamento tra regione e regione, riscontrabile anche in altre patologie, ma che in queste si accentua vista l’alta dispersione geografica a causa del numero esiguo di pazienti che vivono in regioni diverse. La digitalizzazione, ad esempio, può migliorare la prestazione dei servizi sanitari. Investire nelle malattie rare significa anche occuparsi di un’intera collettività perché queste patologie, che sono così complesse, possono rappresentare un paradigma in grado di permettere la messa a punto di strategie utili per la diagnosi e la cura di molte altre malattie”.
Il presidente di Fidas pone l’accento sulle parole di Garattini: “Servono incentivi, risorse e investimenti per garantire alle persone affette da malattie rare un’adeguata assistenza sanitaria, ma anche per la ricerca, anche quella sui cosiddetti ‘farmaci orfani’: i meno interessanti da un punto di vista di produzione e commercializzazione a causa del basso numero di pazienti. Secondo un’indagine condotta da Nord – National Organization for Rare Disorders – insieme a numerose altre organizzazioni sanitarie nell’ottobre 2023, ogni paziente raro, tra costi diretti e indiretti, spende 107mila euro all’anno. Cifre importanti. La sfida da affrontare è, dunque, grande, senza risorse per la ricerca le persone affette da malattie rare continueranno a fare i conti con diagnosi tardive ed errate, possibilità terapeutiche limitate e un accesso ridotto all’assistenza sanitaria. I fondi europei sono cruciali per raggiungere questi obiettivi e per garantire a questi pazienti una buona qualità di vita”.
I donatori di sangue e plasma rivestono un ruolo fondamentale anche per il trattamento delle malattie rare: “Oltre all’aspetto economico che riguarda la cura delle malattie rare mi preme fare un cenno circa l’importanza del ruolo che rivestono i donatori di sangue e plasma per i nostri cittadini gravati da queste importanti e altre patologie – spiega Musso -. Migliaia di pazienti ogni giorno vengono trattati con terapie che si ottengono dal plasma donato, come per esempio nell’emofilia e nelle immunodeficienze a cui si aggiungono i pazienti curati con trasfusioni periodiche come i talassemici. Fondamentali sono anche le risorse e l’attenzione costante per una valida sensibilizzazione sulla cultura della donazione. Sangue ed emocomponenti in Italia provengono da donazioni volontarie, anonime e gratuite grazie all’indispensabile lavoro e impegno profuso quotidianamente dalle volontarie ed i volontari delle diverse Federazioni e Associazioni che operano sul territorio nazionale”.
“Per concludere ritengo quindi che sia importante investire risorse sia nella ricerca che nella prevenzione delle malattie rare ma più in generale nel comparto sanità, poiché il ruolo del Servizio sanitario nazionale rappresenta un pilastro fondamentale del sistema sociale italiano, incarnando valori di equità, solidarietà e giustizia sociale. Grazie al Ssn, l’Italia può garantire una protezione sanitaria universale, contribuendo al benessere e alla coesione della popolazione”.
Attualmente nel nostro Paese sono più di 2 milioni le persone affette dalle oltre 6mila malattie rare conosciute. Una su cinque è un bambino. I problemi che affrontano sono comuni: ritardo e, in qualche caso, assenza di diagnosi, elevato carico assistenziale, difficoltà nel fare ricerca, mancanza di una terapia risolutiva.