Un sistema sanitario invidiato da tutto il mondo che oggi, messo a dura prova dagli anni della pandemia, mira a perfezionarsi tra nuove sfide e novità sul futuro. Al centro di tutto questo c’è il sistema sangue che, grazie soprattutto ad associazioni e volontari, garantisce un apporto costante alla sanità pubblica.
Di questo si è discusso il 14 novembre a Roma nel convegno organizzato da Avis “Il sistema sanitario universale e le sue sfide. La prospettiva di Avis” che si è svolto all’auditorium Giovanni Paolo II di via Urbano VIII. Si sono confrontati professori universitari, presidenti di associazioni e rappresentanti di Farmindustria, moderati dalla giornalista Margherita De Bac. Tra il pubblico era presente anche il presidente di Fratres nazionale, Vincenzo Manzo.
Dopo i saluti di monsignor Remigio Bellizio, il presidente di Avis nazionale, Gianpietro Briola, ha dato il via ai lavori: “L’Italia ha raggiunto l’obiettivo dell’autosufficienza per quanto riguarda il sangue intero, ora la sfida è di arrivare a quella dei farmaci plasmaderivati”.
Quali sono i dati di raccolta e quali sono le differenze con i sistemi esteri? Li ha illustrati Vincenzo De Angelis, direttore del Centro nazionale sangue: “Bisogna investire non soltanto economicamente, ma soprattutto in cultura, cultura, cultura. La donazione del plasma è essenziale per il sistema sanitario in quanto è alla base di terapie per i pazienti cronici e garantisce stabilità nel mercato di approvvigionamento di farmaci plasmaderivati. Da qui le differenze con gli altri sistemi di raccolta nel mondo e la contrapposizione tra il modello italiano, basato sulla gratuità, e quelli che prevedono un rimborso o una retribuzione che, paradossalmente, proprio nel periodo della pandemia hanno fatto registrare le difficoltà principali. L’obiettivo è di raggiungere i 18 chili di raccolta plasma ogni mille abitanti. Quest’anno la raccolta è in risalita, registriamo, nel periodo gennaio – ottobre, un +5% rispetto al 2022″.
Fabio Rugge, professore emerito di Storia delle istituzioni e già rettore dell’università di Pavia, illustra il cammino del sistema sanitario universale, dall’esordio fino ai giorni nostri. Un iter che ha portato a un assetto, già dagli anni Sessanta, basato sulla globalizzazione della cura transfrontaliera, vale a dire la scelta del cittadino su come e dove curarsi. “Una stima relativa al 2019 – spiega Rugge – indica che dai 21 ai 26 milioni di pazienti ogni anno superano le frontiere per cercare cure più evolute o non consentite nei loro Paesi di origine”.
Corrado Del Bò, ordinario di Filosofia del diritto e direttore del dipartimento di Giurisprudenza dell’università di Bergamo spiega perché è preferibile il sistema sanitario universalistico, che si basa su un concetto chiave: “Nessuno ha colpa delle malattie che lo colpiscono e tutti hanno diritto alle cure necessarie”.
Il tema è stato ripreso da Anna Lorenzetti, professoressa associata di Diritto costituzionale all’università di Bergamo che ha ricordato quanto “la questione salute rappresenti un diritto fondamentale della persona e, allo stesso tempo, una responsabilità per la collettività”.
Alice Cauduro, ricercatrice di Diritto amministrativo all’università di Torino, sottolinea come “l’accesso al farmaco rappresenta una delle priorità di azione a livello globale, motivo per cui un Paese come l’Italia dovrebbe farsi portavoce di un sistema internazionale che favorisca questo percorso di approvvigionamento. L’obiettivo è quello di una giustizia sociale in sanità pensata su scala globale”.
Proprio della disponibilità di alcuni farmaci, soprattutto i plasmaderivati, ha parlato il presidente di Gruppo emoderivati di Farmindustria, Francesco Carugi che ha voluto focalizzare l’attenzione sul loro ruolo nella cura di determinate patologie che non vedono alternative (il plasma non è replicabile in laboratorio).
Il tema dell’accesso alle cure è affrontato da Fabrizio Pecoraro, ricercatore del Cnr, che ha delineato i nuovi modelli di sanità territoriale e i processi organizzativi in cui un ruolo centrale viene ricoperto dai fondi del Pnrr che permetteranno la realizzazione di nuove strutture e presidi sanitari sul territorio, per migliorare l’accessibilità e ampliare la disponibilità dei servizi di prossimità.
I significati di “salute” e “benessere” sono indagati dalla professoressa Elisabetta Lalumera, associata di Filosofia del linguaggio all’università di Bologna. “A ogni livello di salute corrisponde una diversa tipologia di strumenti e strategie da mettere in campo, affinché questa condizione venga assicurata a tutti. Capire le disuguaglianze, cercare strumenti per individuarle e contrastarle, è la strada per far sì che per ‘salute’ non si intenda semplicemente l’assenza di malattia, ma una condizione di completo benessere”.
Francesca Pulitanò, associata di Diritto romano all’università Statale di Milano, propone un viaggio storico sul sangue e sulle cure basate sul sangue. Dalla “teoria umorale”, concepita da Ippocrate, che rappresenta il primo tentativo in Occidente di fornire una spiegazione a una malattia senza basarsi su superstizioni, folklore o credenze religiose. Secondo questa teoria, un eccesso o una carenza di uno dei quattro fluidi corporei (sangue, flegma, bile gialla e bile nera) presenti in ciascuno di noi ha una ripercussione sul suo temperamento e il suo stato di salute.
Raffaella Bucciardini, direttrice dell’Health Equity Unit dell’Istituto superiore di sanità, ricorda come sia necessario “contribuire a identificare le principali barriere che impediscono l’equità di salute e a promuovere interventi mirati, per trasferire le buone pratiche in azioni concrete a livello politico locale e nazionale”.
Stili di vita sani e prevenzione sanitaria sono gli argomenti di Bettina Menne, dell’ufficio europeo dell’Oms per gli investimenti per la salute e lo sviluppo: “L’Italia rispetto a molti Paesi europei, è al di sotto della spesa media per il settore sanitario: uno dei problemi è legato al costo del ticket, che spesso incide pesantemente sul bilancio di molte famiglie. Meglio invece quello che riguarda i tempi di attesa, nonostante la carenza di personale sanitario, fenomeno destinato a crescere ulteriormente alla luce degli specialisti che andranno in pensione nell’arco dei prossimi dieci anni”.
La chiosa dei relatori è di Alessandro Segato, presidente dell’Associazioni immunodeficienze primitive che ringrazia i donatori per la disponibilità del plasma da cui vengono ricavate terapie salvavita: L’Italia non è ancora autosufficiente per i farmaci plasmaderivati, è fondamentale incrementare questo tipo di raccolta e sensibilizzare il più possibile la popolazione, partendo dai giovani”.
Infine, i ringraziamenti di Briola che ricorda come in Italia “l’indice di donazione è di 1.3, bisognerebbe arrivare a 2”.