A Roma il WBDD 2022 di Avis
Il dono del sangue è solidarietà

2022-06-16T15:36:45+02:00 16 Giugno 2022|Attualità|
il di Giancarlo Liviano D'Arcangelo

Il giorno atteso è arrivato. È andata in scena a Roma durante mattinata del 14 giugno la celebrazione di Avis nazionale del WBDD 2022, con un convegno dedicato al dono come gesto di solidarietà intitolato Donare sangue è un gesto di solidarietà. Unisciti a noi e salva delle vite”

La giornata è stata intensa e ricca di spunti, inaugurata da Gianpietro Briola che ha subito dedicato un ringraziamento ai donatori, colori  i quali consentono a moltissimi pazienti italiani di avere il trattamento sanitario adeguato. “Ciò non toglie – ha aggiunto il presidente di Avis, che anche in Italia ci siano criticità sulla raccolta sangue, che è diminuita con la pandemia, una situazione che investe tutto il territorio nazionale. Anche nelle regioni che in passato erano eccedenti e che potevano compensare le regioni carenti. Il nostro obiettivo è garantire il sangue ai pazienti bisognosi, per incidenti, interventi chirurgici o malattie rare, ed ecco perché lo sforzo deve essere generale e collettivo, andando ad agire sui problemi che conosciamo molto bene, come quello degli operatori sanitari. Bisogna lavorare al meglio su tutta la filiera trasfusionale, sia sul lato di raccolta e infusione, sia sul piano clinico. L’autosufficienza nazionale deve essere pensata come la somma della autosufficienze regionali: la compensazione deve intervenire solo in caso di emergenza”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Mauro Dionisio, della Direzione generale prevenzione sanitaria al Ministero della sanità: “Ci sono criticità a vari livelli – ha detto  – raccolta sangue, utilizzo clinico, organizzazione. Il Centro nazionale sangue ha un ruolo importante, il sistema trasfusionale italiano è totalmente pubblico e i sistemi regionali col titolo quinto hanno iniziato a fornire prestazioni divergenti che devono essere riportate su una linea conforme. Le associazioni consentono, con il loro meritorio impegno, al sistema trasfusionale di andare avanti. Oggi un piano redatto dal Cns è all’attenzione dei vertici politici, ma le vie sono tante, tra cui il corretto utilizzo del PBM. In molte regioni ci risulta che la risorsa sangue non sia utilizzata nella maniera più corretta. L’auspicio è che si possa garantire l’innovazione tecnologica, che a parità di prodotto raccolto consenta una produzione maggiore di plasmaderivati, anche perché con l’ultimo DDL concorrenza il governi ha garantito un supporto aggiuntivo al sistema trasfusionale di 7 milioni di euro, 1 per le strutture e 6 per la plasmaderivazione”.

ilA Vincenzo De Angelis, direttore del Cns, il compito di tracciare il quadro generale del presente:  “La tecnologia dei servizi trasfusionali è omogenea su tutto il territorio nazionale, ed è una buona tecnologia. Bisogna ringraziare i donatori che tengono insieme il sistema, sono loro il presupposto fondamentale. La pandemia è stata un dramma, che insieme a tante altre concause ha generato un effetto complessivo preoccupante. La pandemia ha fatto calare a picco il numero dei donatori. Tuttavia, nel giro di 1 anno, il sistema è stato capace di riorganizzarsi. Ci sono 1.653. 268 donatori nel 2021 in Italia, di cui 80% periodici e 20% nuovi. Il 92% sono iscritti ad associazioni, mentre le donne sono il 33%, solo un terzo, un dato migliorabile giacché in Spagna sono il 50%. Le donne sono i donatori giusti per donare plasma. La demografia gioca contro di noi, ma i donatori nella fascia compresa tra 20 e 25 anni è leggermente in crescita. Bisogna parlare ai giovani e raccontare loro che abbiamo bisogno del loro sangue. Come staremo da anziani lo decidiamo quando abbiamo 20 anni. Il 2020 è stato un anno veramente critico, ma noi dobbiamo essere come i diesel, che magari faticano a mettersi in moto ma poi sono inarrestabili. È vero che ci sono regioni più e meno attive, e concordo con il presidente Briola che l’autosufficienza – a parte la Sardegna dove ci sono più riceventi per donatori per cause epidemiologiche – deve essere la somma di autosufficienze regionali. Trasfondiamo circa 1800 pazienti al giorno che è un grande numero, il che significa oltre 600k pazienti all’anno. Il plasma è fondamentale. In Europa non abbiamo il plasma che ci serve, l’Italia ha una situazione un po’ migliore ma dobbiamo importarlo dagli Usa. Non possiamo stare tranquilli, i numeri della programmazione ci dicono che siamo indietro, 20k unità in meno di GR rispetto alle nostre previsioni e il 7% di plasma. Le problematiche sono tante e il nostro compito è mettere in fila tutte le nostre armi e – con l’appoggio del ministero – cercare in ogni maniera di controbilanciare la tendenza. Abbiamo già segnalazioni di carenza.

A seguire, spazio allo studio sulle motivazioni del dono dell’Istituto Alti studi di Lucca che ha operato il confronto tra le motivazioni del dono a pagamento, estrinseche e fugaci, e quelle del dono gratuito, intrinseche e durature, prima di passare la palla alla tavola rotonda sulle malattie rare.

Parola dunque a Pino Toro – Presidente associazione contro le leucemie: “Voglio ringraziare Avis per l’invito, e il presidente Briola per il percorso virtuoso che ha tracciato con l’incontro tra volontariato e noi fruitori. La pandemia ci ha insegnato molte cose, specie che dai problemi non si esce da soli ma tutti insieme. Il tema fondamentale è la donazione, dobbiamo aumentare il numero dei donatori. C’è una grande differenza tra nord e sud, e nell’analisi dei dati va sicuramente attenzionato questo aspetto e bisogna intervenire. È un problema organizzativo e bisogna approfondirlo per omogeneizzare i comportamento strutturali in tutto il paese. Se è vero che al sud si raccoglie meno sangue, è vero anche che in Sicilia non c’era un referente per il sangue e che mancavano primari, medici e infermieri. L’Italia ha un sistema di cui andare orgogliosi ma si può fare molto di più; la donazione del sangue deve diventare un atto civico e di consapevolezza su cui bisogna lavorare. Anche la solidarietà ha bisogno di essere spiegata e compresa, attraverso scuola, famiglia e istituzioni. Noi ogni anno facciamo interventi in circa 50 scuole, in cui non parliamo di leucemia ma di donazione di sangue e di midollo. Non bastano questi interventi spot, ma noi abbiamo bisogno che nelle scuole questa materia diventi materia obbligatoria, che spieghi il dono non come mero fatto emozionale ma di educazione civica. Il momento fondamentale è nelle scuole e non possiamo perdere nessun ragazzo. Serve un’azione politica”.

Più attento alle responsabilità dirette della politica Alessandro Segato, presidente Aip: “È la giornata mondiale dei donatori e li voglio ringraziare. Porto i ringraziamenti di adulti, bambini e soprattutto di famiglie che vivono dei drammi e che grazie al dono possono migliorare la loro condizione. Noi siamo pazienti che se non prendiamo le immunoglobuline rischiamo la vita. Per noi avere o non avere il prodotto va a impattare sulla qualità della vita. L’associazione negli ultimi anni ha stretto collaborazione con le associazioni di sangue e bisogna creare delle sinergie forti. Nei mesi scorsi Aifa ha firmato un documento che determina le priorità tra i pazienti a cui garantire i farmaci in caso di carenza, un fatto importante che non  è stata percepito dai molti che sono abituati a dare per scontata la presenza di farmaci. Io penso che la politica debba prendersi le sue responsabilità e capire che il sangue è una scelta strategica per il nostro Paese. Ci sono tantissime persone che vivono i problemi nella vita quotidiana. Serve investire e non lasciare tutto il lavoro alle associazioni. Non devono essere Avis, Aip o United a trovare le soluzioni, deve essere la politica. Non si va avanti se la politica non fa il suo”.

Raffaele Vindigni, presidente di United Onlus, si è invece soffermato sulle sperequazioni del sistema: “Ringrazio i donatori per il nobile gesto quotidiano. Io rappresento i talassemici, e sono d’accordo con Toro per ciò che riguarda la creazione di una coscienza civica. Ma dobbiamo capire che anche noi pazienti dobbiamo avere la responsabilità di andare a cercare e a sensibilizzare la comunità. Incominciamo a cambiare atteggiamento, a dialogare, a spiegare di cosa abbiamo bisogno e cos’è la nostra patologia. La politica ha bisogno di un gruppo di lavoro con i tecnici può realizzare poco. Non possiamo andare al reclutamento dei giovani sei poi la risorsa non viene utilizzata per bene. Ci sono voci di corridoio secondo cui le carenze sangue vengono accentuate per poter indirizzare meglio le scorte, l’autosufficienza c’è a livello generico, ma poi entrando nel merito dell’esperienza dei pazienti ci sono grosse differenze tra strutture ospedaliere, come per esempio tra Ragusa e Messina o, in Calabria, tra Reggio e Cosenza. Bisogna sedersi, discutere e portare le soluzioni, non soltanto i problemi”.

Finale dedicato agli interventi del professor Zamagni, ordinario di Economia Politica a Bologna, che ha insistito sull’importanza della co-alleanza di tutte le parti in causa, di Vanessa Pannucchi portavoce del Forum sul Terzo settore che ha parlato di collaborazione tra le associazioni, e di Andrea Volterrani, sociologo all’Università di Tor Vergata. A lui il compito di definire il concetto di comunità su cui agire per migliorare i dati di raccolta nel lungo periodo: “C’è da fare un lavoro sulle comunità – ha detto lo studioso – Non solo sui giovani ma sui 30-50enni. Prendiamo Roma, che è fatta di tante piccole comunità: non è possibile gestire tutta la raccolta cittadina con tre autoemoteche. Roma è fatta di quartieri, e  se non c’è un adeguato lavoro sul territorio è difficile costruire percorsi che aumentino i donatori. Serve un modo diverso per lavorare dentro le comunità puntando a coesione sociale e cultura del dono, rendendo protagoniste le persone. Solo allora iniziano a contare le questioni organizzative. Se non si è lavorato bene in fatto d comunità diventa difficile trovare nuovi donatori. Per comunità s’intendono luoghi, strade, spazi digitali. Serve una densità più ampia di relazioni e il volontariato in questo senso è importante. Lavorare in questa direzione è faticoso ed è più difficile, richiede un lavoro porta a porta ma è la strada più importante. È chiaro che nei contesti di disgregazione sociale molto forte, la donazione di sangue non può diventare una priorità, per cui bisogna agire a tutti i livelli sociali”.