Autosufficienza, la voce dei pazienti
Le parole di Marra, Cidp Italia

2022-03-22T15:35:04+01:00 22 Marzo 2022|Attualità|
di Giancarlo Liviano D'Arcangelo

Quando si parla di autosufficienza per il plasma e i plasmaderivati, e dell’importanza di raggiungerla specie in una congiuntura internazionale complessa come l’attuale, lo scopo è preservare la salute dei pazienti. Non bisogna dimenticare, infatti, che oltre le scelte politiche, i numeri e le statistiche esiste una realtà quotidiana che ha i suoi protagonisti.

Per conoscere più da vicino la realtà di alcuni pazienti che senza immunoglobuline possono veder minata la serenità della propria vita quotidiana, sabbiamo intervistato Massimo Marra, presidente della CIDP Italia aps,  associazione che rappresenta i pazienti di neuropatie disimmuni acquisite, un gruppo di malattie neuromuscolari rare che in Italia colpiscono circa diecimila pazienti) che colpiscono il sistema nervoso periferico, producendo disabilità molto gravi.

Per loro l’autosufficienza vuole dire tanto.

Massimo Marra, il 2022 del sistema sangue è partito con qualche problema di raccolta a causa della variante Omicron, molto infettiva. Come associazione di pazienti quanto è importante per voi una raccolta sangue costante e in linea con le previsioni?

I pazienti con CIDP o altre neuropatie disimmuni hanno un bisogno costante, spesso per tutta la vita delle immunoglobuline per poter camminare, sollevare oggetti, avere cura della propria igiene in autonomia. Un paziente-tipo necessita di oltre 150 grammi di immunoglobuline al mese, per tutti i mesi dell’anno, per tutti gli anni della vita. Una quantità enorme che per un solo paziente può richiedere fino a 1000 donazioni di plasma l’anno.

Negli ultimi anni il farmaco derivante dalla raccolta italiana e il farmaco comprato all’estero è stato sufficiente a garantire la cura ai pazienti cronici e alle nuove diagnosi. Ora la riduzione è già importante tanto è vero che AIFA ha approvato un documento di razionalizzazione dell’uso in situazione di carenza. Purtroppo i pazienti non sanno cosa ci sia dietro la singola confezione di farmaco e ne danno per scontata la disponibilità. Come associazione, considerati i risultati di questi ultimi mesi della raccolta, temiamo che il peggio debba ancora venire.

Il 2022 per i pazienti rappresentati da CIDP Italia come procede? So che ci sono delle problematiche che state affrontando, e anche piuttosto serie, sulle immunoglobuline…

In modo pressoché uniforme sul territorio nazionale, i pazienti ci riferiscono di una riduzione della quantità di farmaco infuso o di un aumento dell’intervallo tra un’infusione e la successiva e, in alcuni casi, addirittura di una sospensione. In generale, il farmaco disponibile si preferisce usarlo per i pazienti già in trattamento e quindi le nuove diagnosi sono poste in standby oppure sono avviate a terapie di seconda linea, meno efficaci e con maggiori effetti collaterali, come fossimo tornati indietro a una decina di anni fa. Tutto questo aggiunge angoscia in una generale situazione di incertezza e alcuni pazienti riferiscono di sentirsi come coloro che “chiedono l’elemosina” quando chiamano in reparto per sapere se possono andare a fare l’infusione oppure quando telefonano in farmacia per chiedere se vi è disponibilità di terapia sottocutanea.  Abbiamo già avuto casi di pazienti peggiorati in modo significativo, tanto da richiedere un passaggio d’urgenza in Pronto Soccorso e, in un caso particolare, c’è stata una completa immobilizzazione con necessità di ricovero in terapia intensiva per alcune settimane. E quando c’è un peggioramento, non si sa se e quando poi si recupererà.

In queste settimane si sta discutendo il testo del DDL Concorrenza, che potrebbe cambiare qualcosa in fatto di approvvigionamento della materia prima, autosufficienza e degli equilibri di mercato. Qual è la vostra posizione sul tema? 

Noi pensiamo che ogni donatore vada a donare per aiutare i pazienti e più pazienti può aiutare con il suo gesto, più è contento. Così pensiamo che, per il paziente, la cosa più importante sia avere il farmaco e che, se questa cura viene dalla generosità degli italiani, sarà ancora più contento. Ma se il gesto di solidarietà degli italiani non è sufficiente per il bisogno dei malati italiani, da pazienti non possiamo permetterci il lusso di discriminare il farmaco in base alla residenza del donatore o al luogo di lavorazione.

Cosa succederà agli equilibri di mercato? Non ho la sfera di cristallo per vedere nel futuro ma constato che, oggi, con questo sistema, gli equilibri sono già saltati!

In questo momento l’Italia non è autosufficiente e le aziende non partecipano alle gare perché il farmaco sul mercato mondiale è poco e il prezzo che l’Italia è disponibile a pagare per averne una parte è basso rispetto al prezzo di vendita nelle altre nazioni. La domanda che pongo è, qual è il prezzo giusto per un paziente che non è più in grado di camminare, nutrirsi o lavarsi da solo?

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Massimo Marra, presidente Cidp Italia

Da Avis nazionale e altri attori sono arrivate preoccupazioni anche sull’ambiguità che il DDL immette nel sistema sul tema dei rimborsi, che potrebbero essere forme di retribuzione nascosta per i donatori. Lei cosa ne pensa?

Il principio della gratuità del dono va preservato e la formulazione attuale non cambia nulla. Capita a volte che, per migliorare qualcosina, pur con tutte le buone intenzioni possibili, si rischi invece di arrecare un danno.

In particolare mi voglio soffermare su due aspetti. Il primo riguarda la richiesta di esplicitare nel testo di legge che i donatori non devono essere né rimborsati né remunerati. Oggi nel nostro sistema i donatori possono fruire di un giorno di permesso in coincidenza con la donazione e molto spesso hanno la colazione pagata nel luogo di raccolta. Con questa formulazione questi benefici marginali, poco più di un gesto di attenzione e piccoli incentivi alla donazione saranno resi impossibili.

L’altra questione riguarda il luogo di lavorazione del plasma donato gratuitamente dagli italiani. In questo momento le Regioni fanno una gara in base alla quale un’azienda contrattualmente si impegna a raccogliere sangue e plasma donato, a lavorarlo e a ridare indietro una determinata quantità di farmaco. Qual è l’obiettivo: avere più quantità di farmaci possibili al minor costo possibile. Se per raggiungere questo obiettivo l’azienda vince una gara facendo una parte o tutta la lavorazione in un altro Paese dell’Unione Europea,  qual è il problema? Stiamo parlando di un DDL concorrenza che dovrebbe eliminare qualsiasi ostacolo, sul territorio europeo, ad una concorrenza fra aziende. Da questo punto di vista è razionale cercare di stimolare tecniche di produzione che garantiscano la migliore resa possibile a fronte di una data quantità di prodotto. Non certo sindacare su quale territorio questo prodotto è lavorato. Cosa c’entra il luogo di lavorazione con la gratuità del dono.

Il sistema sangue italiano dichiara sempre, e a ragione, la sua intenzione primaria, che è stare dalla parte dei pazienti e assicurare loro il diritto alla salute. Sentite questa attenzione?

Gli italiani sono generosissimi e donano parte del loro corpo senza sapere chi ne fruirà, in che condizioni, per quale malattia. Sappiamo che ci sono tantissime persone che si prodigano per aumentare la raccolta del sangue e del plasma e per migliorare la cura e la qualità della vita dei pazienti. In questo periodo abbiamo sentito la vicinanza di molti addetti ai lavori, preoccupati dell’andamento della raccolta e delle sue ripercussioni immediate e future. Avere l’attenzione di qualcuno significa però non solo ascoltare parole bensì vedere fatti concreti. Ci riesce difficile percepire l’attenzione di quelle Regioni che rivedono il piano di raccolta in diminuzione rispetto all’anno precedente. Ci riesce difficile sentire l’attenzione delle istituzioni che non riescono a procurarsi sul mercato internazionale il farmaco per curare i pazienti italiani perché non vogliono pagarlo quanto lo pagano gli altri Stati. Ci viene difficile pensare di essere al centro dell’attenzione quando in una situazione di carenza una postazione di raccolta resta desolatamente vuota anche per l’intera giornata.

Dove può migliorare il sistema per garantire autosufficienza e maggiore efficienza? 

Noi sappiamo di essere l’ultimo anello di una filiera lunga e complessa, con risvolti non soltanto economici, ma etici e sociali, di grande impatto. La pandemia ha scardinato tante certezze e seppure il nostro sistema ha retto molto meglio di tanti altri, ha fatto venire a galla alcuni limiti che però a noi piace considerare come opportunità di cambiamento per  raggiungere l’autosufficienza. Come associazioni di pazienti ci piacerebbe che i pazienti stessi avessero un ruolo attivo nella sensibilizzazione e nella informazione finalizzata alla donazione e un ruolo attivo anche nella possibilità di invitare alla donazione. Crediamo necessario un coordinamento per il monitoraggio delle carenze così come individuare un unico interlocutore che sia in grado di recuperare il quantitativo di farmaco necessario e distribuirlo alle varie Regioni in ragione delle reali necessità.