A inizio settembre, al momento della ripartenza dopo le ferie d’agosto, avevamo indagato sulla diffusione dei vaccini per il personale sanitario nazionale.
In quella fase c’era stato un comunicato di Avis che specificava come l’obbligo vaccinale riguardasse i propri centri trasfusionali, e circa un mese fa la situazione sul territorio nazionale indicava che soltanto l’1,79% del personale sanitario nazionale non era vaccinato.
E oggi? Cos’è successo 5 settimane dopo?
Nel report nazionale del primo ottobre, in figura 1, ci accorgiamo che la situazione è rimasta pressoché immutata. La percentuale di operatori sanitari in attesa della prima dose è l’1,82%, per l’esattezza 35.666.
Se si pensa a chi non può assumere i vaccini per motivi di salute o legati a intolleranze ai farmaci, possiamo dire che il numero di individui non vaccinati per scelta individuale è davvero esiguo, a testimonianza di un senso di responsabilità diffuso di chi opera nel settore salute, con la consapevolezza che i vaccini sono sopratutto un mezzo per impedire l’esplosione di forme gravi di Covid-19 in grado di mettere a rischio le categorie più fragili e l’enorme quantità di pubblico che visita le strutture sanitarie in un paese, come l’Italia, dall’età media molto alta.
I millesimi di crescita percentuale rispetto all’ultimo report sono legati al fatto che nel frattempo il personale sanitario impiegato è leggermente cresciuto, passando da 1.959.455 unità a 1.960.210.
Ma lo scarto è davvero irrilevante sul piano statistico.
Leggermente più alta, ma sempre contenuta, la percentuale di non vaccinati tra gli operatori del settore scolastico, in figura 2.
Su 1.545.547 di impiegati, ci sono 90.002 non vaccinati, circa il 5,82%.
In un quadro più generale, sulla campagna vaccinale che riguarda l’intera popolazione – figura 3 – i dati appaiono in linea con le aspettative. Più di 85 milioni di somministrazioni che coinvolgono più dell’80% della popolazione italiana, e precisamente il 79,47% che ha completato il ciclo vaccinale e l’84,23% che ha ricevuto almeno una dose.
Se mai qualcuno avesse ancora qualche timore, dunque, sarebbe meglio scongiurarlo. La raccolta sangue nei centri trasfusionali italiani non comporta alcun tipo di rischio.
E se sicuramente il fattore paura ha influito in questo primo anno e mezzo di pandemia nel complicare un po’ le operazioni di raccolta sangue, speriamo che ormai il Covid-19 non sia più un fattore determinante nella decisione dei donatori di andare a compiere il loro meraviglioso gesto di solidarietà.