Sistema sangue, servono trasfusionisti
Il ruolo delle istituzioni per il futuro

2021-09-02T14:58:06+02:00 2 Settembre 2021|Attualità|
di Giancarlo Liviano D'Arcangelo

Da diversi mesi i massimi dirigenti del sistema sangue si adoperano per promuovere dei cambiamenti strutturali e maggiori investimenti su un settore che bisogna assolutamente considerare strategico per il Paese.

Le carenze dell’estate 2021, e i casi limite che hanno creato difficoltà ai pazienti in molti ospedali italiani, rappresentano un ulteriore grido d’allarme. Già a luglio, in Senato, era andato in scena un congresso importante in cui si chiedevano alle istituzioni interventi precisi e strutturati per evitare che ai pazienti manchino sacche e farmaci salvavita, ma per conoscere la situazione attuale, sopratutto riguardo alla carenza di personale nei centri trasfusionali, abbiamo intervistato il dottor Francesco Fiorin, primario del Dipartimento Trasfusionale della Provincia di Vicenza e direttore UOC Medicina Trasfusionale dell’Ulss 8 Berica, e nuovo presidente del Simti (Società Italiana di Medicina Trasfusionale e Immunoematologia)

Ecco cosa ci ha detto.

Dottor Fiorin, da molti mesi si pensa a come affrontare gli attuali problemi del sistema trasfusionale, e a luglio, in Senato, molti dirigenti associativi hanno chiesto investimenti per migliorare l’efficienza dei centri trasfusionali. A fine estate, e in vista dell’ormai sopraggiunta ripresa, qual è la situazione?

La situazione relativamente alla raccolta sia di sangue intero che di plasma è stata molto preoccupante con un evidente calo dell’afflusso dei donatori nelle strutture di raccolta soprattutto nelle regioni che tradizionalmente potevano compensare la usuale carenza estiva, per cui il sistema si è trovato in difficoltà anche a fronte della ripresa doverosa delle attività cliniche. Per questo credo sia doveroso che strutture trasfusionali e associazioni di donatori continuino lo sforzo per il reclutamento di nuovi donatori e per fidelizzare la popolazione già esistente di donatori periodici aumentando almeno l’indice di donazione.

Dal punto di vista organizzativo non ci sono molte novità, anzi la situazione di carenza di personale soprattutto medico si sta acuendo. In questo senso credo si debba instaurare un dialogo serio con le istituzioni perché sia riconosciuto alla Medicina trasfusionale il ruolo centrale di supporto che svolge nelle attività sanitarie dei nostri ospedali.

Sistema

Francesco Fiorin, presidente Simti

Il rischio di nuove chiusure per la pandemia non è del tutto scongiurato, in che modo potrebbero incidere sull’attività trasfusionale?

Può incidere soprattutto nella capacità di risposta nel garantire l’autosufficienza in emocomponenti ed emoderivati. Se dovessero esserci nuove chiusure dovremmo già da ora organizzarci in modo da mantenere alto il livello di raccolta sia di sangue intero che di plasma. Ricordo che durante il lock-down l’attività in urgenza non si è mai fermata e lo stesso è successo con l’attività legata ai trapianti e alla chirurgia specialistica come la cardi o la neurochirurgia.

Sul piano culturale secondo lei è passato il messaggio che i centri trasfusionali sono sicuri? Magari la paura del contagio rischia di tenere i donatori fuori dai centri…

I Servizi Trasfusionali sono stati i primi ad adottare misure di triage sugli accessi e misure di protezione nei confronti di donatori, pazienti e operatori. Misure che continuano ad essere adottate con rigore anche oggi. Per cui sì, i Servizi Trasfusionali sono luoghi sicuri anche se collocati all’interno degli ospedali, sicuramente più controllati che altri luoghi di frequentazione pubblici in cui magari le misure di sicurezza non sono così rigorose.

C’è stato un caso, nelle ultime ore, nel quale le due figlie di un uomo anziano bisognoso di una trasfusione si sono opposte per paura che il padre potesse ricevere l’Rna di un vaccinato. Ci può spiegare perché sbagliavano?

Non ero a conoscenza di quanto accaduto, certo è che l’RNA virale da solo non è in grado di provocare malattia, oltretutto quello utilizzato per la vaccinazione codifica solo per una proteina del rivestimento del virus, la ormai famosa proteina spike e non è rappresentativo dell’intero virus. Il vero problema è l’infodemia che si è generata in questi due anni. Io personalmente non sono contrario all’utilizzo delle fonti reperibili in rete per l’informazione delle persone, anzi, credo che però noi medici dovremmo per primi consigliare ai nostri pazienti dove andare a cercare informazioni che possano essere utili per scongiurare che “il dottor Google” alimenti miti, fantasie o paure che possono essere tranquillamente fugati da un’informazione serie e qualificata.

Quanto tempo, e che tipo di interventi possono servire, a suo parere, per rendere ancora più efficiente la rete trasfusionale del Paese?

Il discorso è molto complesso e meriterebbe un approfondimento a parte. Ci sono delle azioni che debbono essere intraprese per reingegnerizzare l’intero sistema, altrimenti rischiamo di mettere delle toppe su un vestito vecchio che non reggerà a lungo la sfida col tempo. In estrema sintesi secondo me dovremmo pensare ad un sistema in cui l’attività produttiva sia nettamente separata da quella clinica e di supporto sfruttando tutte le risorse professionali che abbiamo a disposizione lasciando ai medici quella che è la loro vera specificità, ovvero l’assistenza clinica al paziente. Se riusciremo a caratterizzare sempre di più i servizi trasfusionali in senso clinico potremmo sperare di essere sempre più attrattivi per i giovani colleghi che si approcciano al mondo del lavoro. Se poi riuscissimo a pensare ad un percorso formativo universitario orientato alla medicina trasfusionale avremmo chiuso il cerchio. Sono azioni però di lungo periodo ma credo che dobbiamo seriamente pensare a che tipo di sistema trasfusionale vogliamo lasciare al nostro paese nel prossimo futuro.